Venere brucia, fuoco alla miseria

- di: Barbara Bizzarri
 
Immaginavo facesse parte di una performance, la Venere che simboleggia la miseria prendere fuoco, forse il passaggio più bello per un’installazione del 1967, e invece no: è stato un incidente, ergo una vergogna, una delle solite per cui, alla fine, si getta la spugna con gran dignità, perché è inammissibile che le opere d’arte non siano custodite in modo opportuno. Del resto, non lo siamo neanche noi, se può consolare. Vorrei chiedere al clochard che ha dato fuoco alla struttura elevata in piazza Municipio a Napoli cosa volesse fare, forse accendere una luce sulla sua condizione e su quella di migliaia di altri dimenticati da Dio e dagli uomini (soprattutto dagli uomini).  Anzi, vorrei che ci fosse un incontro fra lui e l’autore dell’opera che ha potuto vivere attraverso il fuoco e trasformarsi, da provocazione fine a sé stessa e simile, in fondo, a tante altre, in un messaggio indimenticabile. Per chi avesse perso le ultime vicende, riassumo: Michelangelo Pistoletto, celebre artista italiano, edifica la sua Venere di stracci, utilizzando un’idea antica per problemi altrettanto antichi e di cui, evidentemente la soluzione sfugge, o non esiste, o esiste ma talmente scomoda che è meglio pensare all’aperitivo, e la colloca, giustamente, a Napoli, dove gli stracci, chissà perché, fanno sempre folklore. 

A fuoco la "Venere degli stracci" a Napoli

Finora è tutto nella norma di questi tempi, stracciaroli appunto, poi però avviene il miracolo, quasi fosse un altare persiano di preghiera. Il fuoco catartico illumina gli stracci, li purifica, li distrugge, e Venere, per un istante, torna a vivere. Sono certa che l’artista ne sia stato felice, esternazioni furbesche a parte (quanto accaduto non deve neanche essere paragonabile al cosiddetto femminicidio, termine che infastidisce perché di bruttezza oscena), forse il clochard responsabile lo sarà meno, proprio per la sua condizione destinata a rimanere eterna come una dea pagana, e che forse è già stato giustificato e assolto, perché affetto da turbe psichiche. Ormai, l’infermità mentale non si nega a nessuno, e poi come si fa a dirimere la vexata quaestio del chi lo è davvero e chi no ma, peggio ancora, che società può essere quella che lascia malati mentali a vivere per strada, senza cure e senza un riparo, abbandonati anch’essi ad altri dei che agitano loro la mente? Domanda inutile. 

Eppure, questi strani giorni offrono sempre il pretesto per divertirsi, ed ecco, sul luogo dell’incendio, alcuni bigliettini. Quelli che nessuno scrive quando si rovesciano zuppe sui quadri, liquidi nelle fontane, rifiuti nelle strade, quando si incidono le mura del Colosseo e si devasta il tesoro, unico e irripetibile, a cielo aperto di Pompei, sono apparsi invece per una Venere di stracci e polistirolo, a dare la misura colma del ridicolo, fra chi si interroga sul vandalismo (basterebbe fare un giro in autobus), chi piange sulla statua “lasciata sola e indifesa” (non è certo l’unica, e voi dove eravate?), fino al filosofico “che dalle tue ceneri possa risorgere una città migliore”, finora mai comparso nel caso di cataclismi e tragedie, però per una struttura metallica annerita fa più hype.  Il sindaco di Napoli ha dichiarato: “La rifaremo”, ed è giusto così perché, come ogni buona idea, è immortale. Spero soltanto che il fautore del miracolo di questa Venere fiammeggiante non sia punito all’italiana maniera e che possa essere aiutato, anche lui, a tornare a vivere. Preferibilmente, non con l’ergastolo, che non è più comminato, nemmeno agli assassini. 
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