L'Italia riaccende i motori: auto sempre più centrale per gli spostamenti

- di: GIANLUCA DI LORETO (Partner, Bain & Company Practice Automotive) e VITTORIO MELLI (Senior Manager, Bain & Company Practice Automotive)
 
A più di un anno dallo scoppio della pandemia da COVID-19 è necessario fare un punto della situazione sulla mobilità e sull’industria automotive in Italia. Il settore è davvero cambiato così tanto? Per interpretare come l’emergenza pandemica abbia mutato le abitudini di mobilità degli italiani e per verificare se le nuove forme di mobilità “green” offriranno una concreta alternativa all’auto abbiamo realizzato in collaborazione con Confindustria (ANIASA) un’indagine su un campione rappresentativo di 1.000 residenti nelle principali città italiane (Roma, Mi- lano, Torino), intervistati nel mese di maggio 2021. Ne è emerso un quadro che fornisce elementi chiari sulla mobilità degli italiani, fornendo la base per alcune considerazioni squisitamente strategiche, ad uso e consumo del regolatore. Il punto di partenza è che ormai gli italiani sono tornati a muoversi come prima del COVID-19.

Tuttavia, secondo l’Osservatorio Conti Pubblici Italiani, l’automotive è il settore più colpito in assoluto dalla crisi, con una perdita di cassa di 10 miliardi di euro nel 2020 e un aumento dell’indebitamento per circa 9 miliardi. Come è possibile questa apparente contraddizione? Dopo i numerosi lockdown l’utilizzo dell’auto è tornato ai livelli pre-COVID (2 italiani su 3 la usano per spostarsi) e quasi li ha superati, mentre si registra un ricorso sempre più limitato al Trasporto Pubblico Locale (solo il 42% del campione lo utilizza in modo ricorrente). Ma il maggiore ricorso alle quattro ruote non si traduce necessariamente in nuove vendite di auto, rimaste nei primi 5 mesi del 2021 addirittura sotto i livelli del 2019 (-28% vs maggio 2019). Gli italiani infatti preferiscono piuttosto comprare un’auto usata o mantenere la vecchia auto di proprietà, magari Euro 2 o Euro 3 (con conseguente impatto sull’inquinamento e sulla minore sicurezza). Le soluzioni di micro-mobilità non sostituiscono l’automobile. L’auto in particolare è il mezzo prediletto da chi si muove in periferia, dove il trasporto pubblico è meno presente, e dai pendolari. Un trend significativo degli ultimi mesi riguarda gli spostamenti in bicicletta (con un boom di acquisti, 2 milioni solo nel 2020) e sui monopattini (125.000 pezzi venduti nei primi 7 mesi del 2020), con molti nuovi operatori nati a Milano e Roma nel giro di pochi mesi. La bicicletta, però, per il 69% dei suoi utilizzatori, è un mezzo utilizzato esclusivamente nel tempo libero e quindi non sostituisce altre forme di mobilità.

Una constatazione analoga riguarda anche gli italiani che invece utilizzano in modo frequente il car sharing e il monopattino: nella maggior parte dei casi, questi non hanno un’auto personale e li utilizzano in combinazione con il TPL. Gli automobilisti (anche pendolari) e gli utenti della micro-mobilità presentano due profili molto diversi tra loro ed è quindi impossibile pensare di sostituire l’automobile con la micro-mobilità. L’auto ed il TPL restano ad oggi la migliore (ed unica) soluzione per flessibilità e costi di gestione e non hanno di fatto reali alternative agli occhi del pendolare che si muove tutti i giorni, specie per chi possiede un’auto già “ammortizzata”: il costo marginale del suo utilizzo è praticamente irrisorio. Un altro fattore importante che in questi mesi ha inciso in modo decisivo sui consumi di mobilità è il remote working. Secondo la nostra ricerca l’auto oggi è usata maggiormente proprio da chi dichiara di lavorare meno da remoto, mentre car sharing e monopattini sono usati soprattutto da chi lavora da casa (per almeno tre giorni a settimana). Il dato di fatto è che i consumatori stanno tornando progressivamente a lavorare in sede, con i giorni di remote working che, dopo essere saliti da meno di 1 nel 2019 a quasi 3 a settimana nel 2020 , ad oggi sono già tornati a circa 2 giorni. Difficile che si torni ai livelli pre-COVID-19, è probabile che ci si assesti su un equilibrio intermedio.

Ma questo trend, in un contesto in cui il TPL fatica a rimanere competitivo, sta favorendo il ritorno all’uso dell’auto personale. L’automobile quindi vince ancora la partita della mobilità. Ma quali sono allora le auto preferite dagli italiani? La rincorsa dell’elettrico: cresce solo nelle metropoli e grazie alle flotte aziendali. Al Sud è all’1%. La campagna contro le alimentazioni diesel e benzina sta dando i suoi “frutti”: nel 2020 le immatricolazioni di auto endotermiche, che restano comunque la scelta preferita dal consumatore, sono scese dall’84% dell’anno precedente al 71%. Il consumatore si è orientato fortemente verso l’ibrido, che ha assorbito quasi tutto il calo crescendo dal 6% al 18% (principalmente mild hybrid). Rimangono stabili le alimentazioni a gas (9%) e cresce, anche se di poco, l’elettrico puro, dallo 0,6% del 2019 al 2,3% del 2020 (ben poco rispetto al 6-7% di Francia e Regno Unito o al 54% della Norvegia). L’elettrico sale al 5% di quota nelle grandi metropoli, dove viene acquistato soprattutto dal settore delle flotte aziendali, e rimane intorno al 2% in tutto il resto del Paese. La quota di privati che comprano veicoli alla spina non supera l’1,7% e la media dei veicoli a batteria elettrica scende addirittura all’1% al Sud (privati e flotte), dove si preferiscono GPL e Metano (quota al 13%). Il 51% dei consumatori indica l’elevato costo del veicolo alla base di questa ritrosia verso l’elettrico, problema evidentemente non risolto dagli incentivi. Questi numeri confermano l’Italia come uno dei vagoni finali di un treno che in Europa del Nord sta viaggiando molto più veloce.

La sostenibilità ambientale del trasporto è però un obbligo al quale non ci si deve sottrarre; deve essere piuttosto conseguito in modo realista e pragmatico, partendo dalle concrete abitudini di mobilità degli italiani che non possono esser ignorate sull’altare del furore del cambiamento; perché “invenzione” non sempre fa rima con “innovazione”, e l’innovazione non sempre si traduce in progresso (si veda il caso del fallimento di Segway, che secondo alcuni “visionari” avrebbe dovuto cambiare la mobilità, diventando per le automobili quello che le automobili furono per i cavalli). Occorre quindi lavorare per mettere auto più pulite sulla strada, svecchiando in modo radicale il parco circolante, nel rispetto però delle esigenze di tutti. In quest’ottica il tipo di auto che si tolgono dalla strada conta anche più del tipo di auto nuove che si immatricolano, e forzare la domanda dei consumatori serve a poco se l’offerta ancora non è adatta. Il ruolo del regolatore è fondamentale per supportare e accelerare questa transizione, sostenendone i benefici ma limitandone gli impatti negativi sui consumatori e sulla filiera. Le formule di noleggio come leva concreta per svecchiare il parco.

Gli sforzi per lo sviluppo di una micro-mobilità fatta di mezzi di prossimità sono utili, ma non si può trascurare che solo il 12% della popolazione ed il 12% del parco circolante si trovano nelle grandi città (con più di 500.000 abitanti). Questo dato pone una luce di velleità sulla micro-mobilità come principale alternativa all’auto. L’Italia non è la Cina o gli Stati Uniti, Paesi nei quali la maggior parte del parco circolante si trova nei grandi centri urbani, e dove quindi la micro-mobilità, in un ecosistema multimodale, può fare la differenza. Ben vengano modelli visionari come “la città in 15 minuti”, che mirano a garantire tutti i servizi principali a non più di 15 minuti dalla propria abitazione, potendo così rinunciare alle auto. Ma questi modelli vanno realizzarti progressivamente, ridisegnando le città e potenziando il trasporto pubblico, cosa che non sembra stia avvenendo. Queste soluzioni, da sole, sposterebbero troppo in avanti la riduzione delle emissioni, non tanto per criticità nel punto di arrivo (il modello di riferimento) quanto per le criticità del punto di partenza. Rendere la mobilità degli italiani più sostenibile significa quindi mettere in conto l’88% del parco circolante italiano, ovvero le auto possedute da chi vive in provincia. Per questi mobility user la micro mobilità non è un’opzione concreta.

L’alternativa più pratica ed efficace riguarda il rinnovo del parco. In questo senso le nuove forme di mobilità possono completare l’offerta storica di trasporto ma non possono, da sole, sostituirla; assume quindi una rilevanza strategica il business del noleggio a medio e lungo termine, che permette di ringiovanire le auto a parco ma con formule economiche comprensibili e anche vantaggiose, da Nord a Sud. Formule di utilizzo e non di possesso che per definizione si basano su auto fresche (Euro 6d) e poco o per nulla inquinanti, anche nel caso in cui il noleggio riguardi un’auto usata. La vera sfida consiste nel veicolare queste formule in modo semplice e comprensibile ai consumatori privati, ovvero nell’avvicinare l’offerta ad una domanda che sta sì cambiando...ma forse non così velocemente.
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