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Banca di Asti, stop alla vendita: la contromossa locale di Demartini

- di: Bruno Legni
 
Banca di Asti, stop alla vendita: la contromossa locale di Demartini
Banca di Asti, stop alla vendita: la contromossa “locale” di Demartini
Tra pressioni della Fondazione e risiko bancario, l’ad rilancia: crescita, radicamento e un socio del territorio come terza via.

(Foto: Carlo Demartini, Ad della Banca di Asti).

La partita su Banca di Asti si è trasformata in un braccio di ferro che vale più di un’operazione societaria: riguarda identità, governance e soprattutto il peso economico di una banca “di prossimità” in un’area che non vuole diventare periferia finanziaria.

Il punto di rottura: vendita ai big o strada autonoma

Sul tavolo, secondo indiscrezioni e ricostruzioni di queste settimane, circola l’idea di una possibile aggregazione con gruppi più grandi (tra i nomi più citati: UniCredit, Banco BPM, Credem). La linea dell’amministratore delegato Carlo Demartini è però di segno opposto: evitare che una cessione “fuori casa” riduca presìdio, sportelli, autonomia decisionale e capacità di finanziare famiglie e imprese sul territorio.

La tesi di Demartini: numeri, lavoro e “banca del territorio”

In un’intervista pubblicata a inizio dicembre, Demartini ha descritto il modello “territoriale” come un sistema fatto di relazione diretta e servizi (anche digitali), rivendicando finanziamenti per miliardi negli ultimi anni e un impatto economico complessivo tra stipendi, tasse e dividendi restituiti all’area di riferimento. Il messaggio è chiaro: se la banca cresce e produce valore, non ha senso venderla per definizione, ma semmai rafforzarla.

La pressione della Fondazione: vincoli, dividendi e cambio di governance

Dall’altra parte c’è il socio di riferimento, la Fondazione Cr Asti, che guarda al futuro con un obiettivo dichiarato: rendere più sostenibile il proprio ruolo di sostegno al territorio attraverso erogazioni stabili. In un documento diffuso il 3 dicembre 2025, il presidente Livio Negro lega la necessità di un “cambio di passo” alla redditività e alla capacità di staccare dividendi più robusti.

In quello stesso testo Negro afferma che la Fondazione ha incaricato Spencer Stuart di individuare profili per il rinnovo del consiglio di amministrazione (previsto in primavera) e menziona la ricerca di un nuovo ceo di alto profilo, in un quadro dove l’ente deve anche confrontarsi con il tema della diversificazione del patrimonio e dei limiti previsti dal protocollo Acri-Mef.

La terza via: un socio locale (e perché cambia la narrazione)

Qui entra l’“alternativa” evocata nel dibattito: un partner del territorio, o comunque un’operazione costruita in modo da preservare baricentro e governance locale. In pratica: non un “sì o no” alla crescita, ma un “come” crescere. Un socio vicino al tessuto economico piemontese, nella logica dell’ad, può portare capitali e competenze senza trasformare la banca in una semplice filiale di un gruppo nazionale.

Il fattore lavoro: i sindacati alzano la voce

Le organizzazioni sindacali hanno inserito un punto non negoziabile nella discussione: occupazione e presenza capillare. A metà novembre 2025, la Fisac Cgil Piemonte ha segnalato il rischio che operazioni di aggregazione possano indebolire il legame con il territorio e avere ricadute su rete e servizi, chiedendo trasparenza sul percorso e tutele per lavoratrici e lavoratori.

Cosa succede adesso: le scadenze che contano

Il calendario è un acceleratore naturale: rinnovo della governance in primavera, pressione a dimostrare risultati industriali, e la necessità per la Fondazione di gestire concentrazione e sostenibilità del proprio patrimonio. Nel frattempo, l’interesse dei grandi gruppi resta sullo sfondo come leva, ma nel materiale disponibile emerge un punto ricorrente: senza proposte scritte e un progetto credibile, la discussione resta più politica che industriale.

La posta in gioco: non solo una banca, ma un pezzo di economia locale

Nel risiko bancario italiano, le banche territoriali finiscono spesso in mezzo a due fuochi: da un lato la scala (capitale, tecnologia, efficienza), dall’altro la missione (credito vicino, decisioni rapide, radicamento). Il caso Asti è esattamente questo: crescere senza sparire. Ed è qui che si misura la credibilità della “terza via” di Demartini: se la banca dimostra di poter migliorare redditività e dividendi restando autonoma, la vendita perde forza; se invece i numeri deludono, il mercato torna a bussare con più insistenza.

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