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L’onda lunga dei dazi travolge il vino italiano

- di: Marta Giannoni
 
L’onda lunga dei dazi travolge il vino italiano
Produzione in ripresa, export in frenata: perché gli Usa pesano più di tutti.

Il vino italiano è finito in una tempesta perfetta: domanda interna fiacca, giacenze record, superfici vitate in calo e – soprattutto – una barriera tariffaria negli Stati Uniti che ha trasformato il primo mercato extra-UE in un terreno in salita. Il quadro è netto: i dazi al 15% entrati in vigore nel 2025 hanno cambiato le regole del gioco proprio mentre la vendemmia torna a crescere.

Cosa dicono i numeri (e perché contano adesso)

Il comparto vale circa 16 miliardi di euro e occupa 74 mila addetti; l’Italia resta primo produttore mondiale con una media di 47 milioni di ettolitri e primo esportatore per volumi. Nel 2025 la produzione è stimata in 47,4 milioni di ettolitri (+8% sul 2024): qualità buona, quantità in risalita. Eppure la ripartenza dell’offerta si scontra con un mercato più freddo in casa e più caro fuori.

Il nodo cruciale è il mercato Usa, che vale circa 2 miliardi di euro l’anno – quasi un quarto dell’export complessivo – e dove l’aumento dei dazi ha eroso i margini lungo tutta la filiera. Ad aprile 2025, primo mese pienamente interessato dalle nuove tariffe, l’export verso gli Stati Uniti ha segnato −7,5% a volume e −9,2% a valore.

I dazi: dal 2,9% al 15%, l’effetto a catena sul prezzo finale

Fino a gennaio 2025 i vini italiani entravano negli Usa con un dazio medio del 2,9%. Il passaggio al 15% ha innescato un impatto stimato in centinaia di milioni per il settore. Tradotto sullo scaffale: l’incremento del prezzo finale (rispetto al valore all’origine) è salito da circa +123% a +186% lungo la catena di intermediazione, comprimendo la convenienza per importatori, distributori e consumatori.

Nel frattempo, le intese estive tra Bruxelles e Washington hanno fissato un tetto del 15% su molti beni europei, ma per il vino il quadro resta restrittivo: le tariffe non tornano ai livelli pre-2025 e la prospettiva di un taglio nel breve è incerta. In parallelo, gli operatori americani hanno fatto scorte nella prima metà dell’anno, attenuando i danni nell’immediato ma spostando il problema sul secondo semestre.

Domanda interna sottile e cantine piene

Il consumo domestico italiano si è dimezzato in trent’anni. Il risultato è una montagna di giacenze – oltre 50 milioni di ettolitri nel 2023 – che spinge i prezzi verso il basso e asfissia la liquidità delle imprese, in particolare quelle medio-piccole. A complicare il quadro c’è la riduzione delle superfici vitate: −15% tra il 2000 e il 2023. Meno ettari, ma anche minore elasticità di risposta agli shock.

La frattura Italia-Francia-Spagna nel mercato Usa

Nella competizione sullo scaffale statunitense, l’Italia partiva avvantaggiata: circa un quarto del valore dell’import Usa contro quote inferiori dei rivali. Il nuovo regime tariffario appiattisce i differenziali: quando tutti pagano di più, prevalgono marchi forti, catene integrate e logistiche corte. Il rischio è che chi ha meno potere contrattuale rinunci a volumi o ceda prezzo per restare in lista.

“Pacchetto di salvaguardia”: che cosa serve davvero

Le proposte in campo convergono su un mix di misure: revisione del Testo Unico del vino; taglio mirato dell’Iva per sostenere i consumi interni; assicurazioni agevolate e fondi mutualistici contro gli shock; più antifrode e tracciabilità con strumenti di intelligenza artificiale; incentivi ambientali come crediti “natura” per chi tutela suolo e acqua.

Strategia d’emergenza per le imprese

Attendere il negoziato non basta. Tre mosse subito: 1) riposizionare l’assortimento negli Usa (formati on-premise, Doc/Docg iconiche, equilibrio qualità/prezzo); 2) coprirsi dal rischio cambio e inserire clausole di adeguamento nei contratti; 3) diversificare i mercati (Canada, Corea, Sud-Est asiatico, Golfo) con accordi distributivi e campagne di educazione al gusto. A ciò si aggiungono e-commerce diretto dove possibile e logistica condivisa tra consorzi per tagliare i costi.

La finestra politica

Le intese Ue-Usa dell’estate hanno fissato cap e deroghe su vari comparti, ma il vino al momento resta dentro il recinto tariffario. Se l’autunno porterà alleggerimenti, il settore potrà riaprire la partita natalizia; altrimenti servirà copertura nazionale per non bruciare una vendemmia finalmente abbondante.

“Con dazi al 15% e un dollaro debole, la costruzione del prezzo in Usa non regge più le vecchie abitudini: chi non ricompone assortimenti e canali, perderà spazio”. 
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