Perfino Lilli Gruber e i suoi compagnucci della parrocchietta hanno preso le distanze dalle infelici dichiarazioni di Francesca Albanese all’indomani dell’assalto dei propal alla redazione de La Stampa a Torino. Dopo averla osannata in tutti i talk-show fino a farla diventare una sorta di madonna pellegrina in eterna processione, qualche crepa si apre nella sinistra italiana. Qualcuno comincia a pensare che le «cittadinanze onorarie» elargite a iosa da sindaci di comuni più o meno grandi alla «special rapporteur» dell’Onu, forse meritassero un’analisi più attenta.
Ma si sa, la sinistra italiana è sempre alla ricerca di «personaggi» mediatici da portare sugli altari, di papi stranieri, tranne poi, una volta scoperta l’assoluta inconsistenza, lasciarli al loro triste destino. È quello che sta accadendo anche alla «pasionaria» della causa palestinese che, da un palco eretto dai suoi fan a Torino dopo le devastazioni, ha detto: «Condannare la violenza è giusto, ma quello che è accaduto alla redazione della Stampa sia anche un monito per i giornalisti.» Come dire: stavolta vi è andata bene, ma la prossima...
Ma il delirio di onnipotenza non conosce limiti e il giorno dopo l’Albanese, ospite dell’ennesima trasmissione televisiva condotta da un giornalista del Fatto Quotidiano, è andata oltre dicendo testualmente: «Mi criticano perché faccio paura, faccio paura perché rappresento il cambiamento.» Il conduttore, of course, invece di chiamare la neurodeliri, annuiva gravemente compiaciuto.
Francesca Albanese, da Ariano Irpino, ha capito perfettamente il trend della comunicazione in Italia e usa senza ritegno un conflitto tragico, seguendo una precisa agenda politica che impiega la retorica dei diritti per attaccare le istituzioni democratiche, relativizzare la violenza di Hamas e costruire una narrazione interamente basata sulle «colpe» dell’Occidente. Non è la prima e non sarà l’ultima: ci sarà sempre qualcuno che, sfruttando lo «spirito dei tempi», si mette alla testa di qualche movimento al grido di «ribellarsi è ora, ribellarsi è giusto», tranne poi, se raggiunge il risultato, trasformarsi in un despota.
Sono infiniti gli esempi della storia, ma si sa: la storia non insegna nulla, altro che magister vitae come titolavano i nostri libri alle medie. L’umanità non impara nulla, tranne che a ripetere gli stessi tragici errori. Probabilmente di Francesca Albanese non resterà nulla tra pochi mesi, quando l’effetto mediatico sarà scomparso. Ciò non toglie che sia oltremodo necessario interrogarci sul perché sia accaduto.