Sessantacinque persone morte in una notte. Ventidue di loro erano bambini. La Striscia di Gaza, di nuovo, è stata colpita da un’ondata di raid aerei israeliani. È successo tra ieri sera e stamattina. Le bombe hanno colpito case nel nord, a Jabalia, anche nel campo profughi, e nel sud, a Khan Yunis. Le immagini che circolano raccontano volti grigi di polvere e urla di genitori che scavano con le mani nude. I bambini – quelli che non sono morti – piangono tra le lamiere.
Gaza, una notte di fuoco: 65 morti sotto i bombardamenti
A diffondere il bilancio, non definitivo, è Al Jazeera. Fonti locali parlano di attacchi mirati, ma le vittime sono tutte civili. In mezzo, ancora una volta, c’è la popolazione che non ha via di fuga. Perché uscire da Gaza, oggi, è quasi impossibile. L’Egitto ha chiuso il valico di Rafah. I corridoi umanitari sono solo sulla carta. E l’acqua, la corrente, il cibo sono sempre meno.
Il missile dallo Yemen e l’escalation
Mentre i raid colpiscono Gaza, un’altra linea del fronte si muove a sud. Israele ha intercettato un missile partito dallo Yemen. Non è il primo. Negli ultimi mesi, i ribelli Houthi – filo-iraniani, alleati del fronte anti-Israele – hanno lanciato droni e missili verso Eilat e il Mar Rosso. Questa volta la reazione israeliana è diversa. Non solo intercettazioni. Israele ha ordinato l’evacuazione immediata dei porti yemeniti controllati dagli Houthi. Una mossa che rischia di allargare il conflitto in una regione già incandescente.
Dietro la mossa militare, c’è la strategia: chiudere i passaggi da cui arrivano armi e rinforzi. Il porto di Hodeida, ad esempio, è un punto chiave. Serve ai rifornimenti, alle comunicazioni, ma anche al contrabbando. L’evacuazione forzata rischia di trasformarsi in un nuovo fronte.
I corridoi chiusi, le ambulanze ferme
A Gaza, intanto, non si fermano le chiamate disperate. Le ambulanze non bastano. Gli ospedali sono al collasso. I medici operano a terra, in corridoi bui, tra sangue e urla. I feriti – tra cui moltissimi bambini – vengono trasportati a mano. Le ambulanze, quando arrivano, spesso devono aspettare ore prima di attraversare le zone colpite. I corridoi umanitari non sono garantiti. I giornalisti locali parlano di ritardi, di ostacoli, di controlli militari che impediscono i soccorsi.
In molti quartieri manca la corrente. Alcuni palazzi sono crollati completamente. Chi riesce a salvarsi dorme in macchina o per strada, dove i vetri sono ovunque e la paura non passa mai.
Nessuna tregua, nessun orizzonte
Nonostante le pressioni internazionali, la tregua non arriva. I colloqui – quelli con Egitto, Qatar e Stati Uniti come mediatori – sono fermi. Israele continua a dire che non smetterà finché Hamas non sarà annientata. Ma ogni bomba su Gaza allontana la trattativa. E alimenta la rabbia. Quella dei civili, quella dei bambini sopravvissuti, quella di un’intera generazione cresciuta sotto le bombe.
Sul piano internazionale, la tensione cresce. Ogni attacco a Gaza rischia di innescare reazioni a catena. Dallo Yemen al Libano, dalla Siria all’Iran. Gli equilibri si muovono. E ogni volta che muoiono ventidue bambini in una notte, la distanza tra diplomazia e realtà si fa più insostenibile.