Un nuovo attacco israeliano ha colpito un’area ad ovest di Khan Younis, nella Striscia di Gaza, provocando la morte di almeno dodici persone, tra cui donne e bambini. Il bombardamento ha centrato una tenda per sfollati nei pressi della scuola Al-Innawi, trasformando in tragedia un fragile rifugio improvvisato da centinaia di civili.
Gaza in fiamme: dodici morti sotto le bombe a Khan Younis, nuovo voto all’Onu sul cessate il fuoco
Secondo quanto riportato dalla protezione civile palestinese, si tratta dell’ennesimo colpo inferto a una popolazione stremata, in fuga da mesi da un conflitto che sembra non trovare tregua. La notizia arriva proprio mentre il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si prepara a votare una risoluzione per il cessate il fuoco, tra tensioni diplomatiche e la concreta possibilità di un nuovo veto da parte degli Stati Uniti.
Il bilancio e la disperazione
Oltre ai dodici morti nel campo di Khan Younis, altri quattro civili avrebbero perso la vita in attacchi condotti in altri settori della Striscia. Si moltiplicano i racconti di sopravvissuti che descrivono scene di panico e distruzione: “Non c’è più un posto sicuro”, ha dichiarato un volontario della Mezzaluna Rossa. “La gente si sposta da una zona all’altra, ma le bombe arrivano ovunque”. La scuola Al-Innawi, trasformata in rifugio di emergenza, ospitava famiglie che avevano abbandonato le loro case a causa dei precedenti bombardamenti nel sud della Striscia. Secondo fonti mediche, molti dei feriti versano in condizioni critiche, mentre le ambulanze lottano per soccorrere le vittime in assenza di corridoi umanitari sicuri.
Un Consiglio di sicurezza diviso
Il Consiglio di sicurezza dell’Onu si riunirà alle ore 22 italiane per votare una risoluzione che chiede il cessate il fuoco immediato e un accesso umanitario sicuro e sostenuto alla popolazione civile di Gaza. La proposta arriva in un contesto di crescente pressione internazionale, ma anche di forti divisioni tra i membri permanenti. La diplomazia americana, sotto la guida dell’amministrazione Trump, ha già fatto intendere che intende opporsi a un testo che consideri eccessivamente squilibrato l’impianto della condanna e troppo vincolante per Israele. Se confermato, il veto rappresenterebbe il primo esercitato da Trump in materia di conflitto israelo-palestinese da quando ha fatto ritorno alla Casa Bianca.
La posizione degli Stati Uniti
Il portavoce del Dipartimento di Stato ha dichiarato che “gli Stati Uniti sono impegnati per una pace duratura e giusta, ma non possono accettare risoluzioni che non tengano conto del diritto di Israele a difendersi dagli attacchi di Hamas”. Washington continua a sostenere che un cessate il fuoco non deve tradursi in una legittimazione dell’organizzazione islamista, e ha chiesto modifiche sostanziali al testo in discussione. L’ambasciatrice americana alle Nazioni Unite ha aggiunto che la priorità è garantire un accesso umanitario “coordinato e sicuro”, ma che ogni passo deve avvenire in un quadro di responsabilità condivisa. Tuttavia, la posizione statunitense si scontra con le richieste pressanti di paesi europei e di gran parte del blocco latinoamericano e africano, che chiedono un’immediata interruzione delle ostilità.
Le reazioni internazionali
Dalla Francia alla Norvegia, dall’Egitto al Sudafrica, cresce il fronte dei Paesi che invocano una svolta diplomatica. L’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha parlato di “possibili violazioni del diritto internazionale umanitario” e ha chiesto un’indagine indipendente sull’attacco alla tenda di Khan Younis. Amnesty International e Human Rights Watch hanno diffuso comunicati durissimi, chiedendo alla comunità internazionale di non voltarsi dall’altra parte. In Israele, invece, il governo guidato da Benjamin Netanyahu mantiene una linea di fermezza: “Hamas è responsabile della tragedia dei civili perché li usa come scudi umani”, ha ribadito il ministro della Difesa.
Una crisi umanitaria senza precedenti
I numeri forniti dalle agenzie umanitarie parlano di una catastrofe in corso: oltre 35.000 morti dall’inizio del conflitto, di cui almeno la metà civili, più di un milione di sfollati, ospedali al collasso e una rete idrica ed elettrica distrutta. La situazione nel sud della Striscia, dove si concentra ora l’offensiva israeliana, è definita “insostenibile” dalle organizzazioni internazionali. Il World Food Programme ha lanciato un nuovo appello urgente per far entrare aiuti alimentari, mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità chiede una pausa umanitaria immediata per far evacuare i feriti e far funzionare le cliniche da campo.
La diplomazia tra stallo e speranza
Mentre le bombe continuano a cadere su Khan Younis e su Rafah, le cancellerie mondiali cercano uno spiraglio di dialogo. I tentativi di mediazione da parte di Egitto e Qatar restano in fase di stallo, complicati dalle condizioni poste da entrambe le parti in conflitto. Il voto all’Onu sarà un momento chiave: se prevarrà il veto americano, la comunità internazionale si troverà davanti all’ennesimo blocco diplomatico, con pesanti ricadute sulla popolazione civile. Se invece dovesse emergere una nuova convergenza, potrebbe aprirsi uno scenario inedito di pressione multilaterale per fermare il conflitto. In ogni caso, il tempo stringe. E a Gaza ogni ora di ritardo può costare nuove vite.