Il “super polo” del risparmio gestito si ferma sul traguardo: pressioni politiche, soci contrari e un risiko bancario che ha complicato tutto.
(Il Ceo di Generali, Philippe Donnet).
Le trattative per creare una joint venture nel risparmio gestito tra Generali e BPCE (la casa madre di Natixis) si sono ufficialmente interrotte. Tradotto: niente matrimonio industriale, almeno per ora. E non è un colpo di teatro improvviso, ma l’epilogo di mesi di frenate, rilanci, veti incrociati e timori sulla governance di una macchina gigantesca.
Che cosa è saltato (e perché contava così tanto)
L’idea era ambiziosa: mettere insieme le attività di asset management del Leone di Trieste e quelle francesi per costruire un campione europeo, con masse complessive nell’ordine dei 1.900 miliardi (secondo i numeri comunicati all’avvio del progetto). Sul piano industriale, la logica era semplice: scala, tecnologia, costi più leggeri e un’offerta più ampia in un settore dove i margini sono sotto pressione e l’investimento in piattaforme e dati è diventato una tassa obbligatoria.
Negli ultimi mesi, però, il dossier è scivolato dal tavolo “strategia” al tavolo “politica e potere”. E lì le cose, spesso, si complicano.
La nota ufficiale: “Valore industriale, ma niente condizioni”
Nella comunicazione congiunta, i due gruppi spiegano di aver svolto interlocuzioni e consultazioni previste con gli stakeholder e di aver verificato che la partnership aveva merito industriale. Ma la conclusione è netta: non ci sono le condizioni per arrivare a un accordo definitivo. Messaggio in bottiglia: non stiamo dicendo che l’idea fosse sbagliata, stiamo dicendo che non è praticabile nel contesto attuale.
Il convitato di pietra: golden power e “risparmio degli italiani”
Uno dei nodi più sensibili è stato il timore — esplicitato nel dibattito pubblico e attribuito a più interlocutori istituzionali — che l’operazione potesse ridurre il controllo italiano su una parte rilevante dei flussi di risparmio. In questo scenario, pesa la cornice del golden power, che può imporre condizioni o bloccare operazioni considerate strategiche.
Il punto non è un tecnicismo: quando entri nella sfera “strategica”, la negoziazione non riguarda solo sinergie e governance societaria, ma anche equilibri, influenza e garanzie di lungo periodo.
La guerra fredda in casa Generali: i soci che non hanno mai digerito l’operazione
Fin dall’inizio, la proposta ha incontrato ostacoli anche sul fronte interno. Due azionisti di riferimento, Delfin e Francesco Gaetano Caltagirone, sono stati indicati tra i principali contrari: per impostazione industriale, per timori sulla catena di comando e per la convinzione che un’alleanza così strutturata potesse ridisegnare i pesi in consiglio e nella gestione.
Quando un progetto è contestato dai soci forti e contemporaneamente osservato con attenzione dal governo, la “quadratura del cerchio” diventa un esercizio di alta acrobazia. A un certo punto, semplicemente, la corda si spezza.
Il fattore Risiko: Mediobanca, Mps e l’inchiesta che alza la temperatura
Il quadro si è ulteriormente complicato per l’intreccio con il risiko bancario italiano. Mediobanca è storicamente un azionista centrale di Generali, ma nel 2025 la partita si è accesa con l’operazione di Mps su Mediobanca e le conseguenti tensioni regolatorie e giudiziarie. In parallelo, sono emerse notizie sull’attenzione della Procura di Milano e su verifiche Consob relative a ipotesi di concerto e dinamiche di controllo, con ricostruzioni e smentite che hanno alimentato volatilità e nervosismo sul mercato.
In un clima così “elettrico”, la creazione di una nuova super-struttura nel risparmio gestito avrebbe richiesto una serenità istituzionale che, nei fatti, non c’era.
Che cosa succede adesso: l’asset management resta centrale (ma cambia la strada)
Generali ha un vantaggio immediato: dalla chiusura delle trattative non dovrebbe derivare alcun impatto sui conti e vengono ribaditi gli obiettivi del piano “Lifetime Partner 27: Driving Excellence”. Quindi, il messaggio al mercato è: il film non cambia, cambiano alcune scene.
Ma una domanda resta in campo: come farà il Leone a rafforzare la piattaforma di gestione senza la scorciatoia della mega-jv? Le opzioni, realisticamente, sono tre:
- Crescita organica: spingere su competenze interne, prodotti e canali distributivi, soprattutto nei segmenti a maggiore valore aggiunto.
- Acquisizioni mirate: piccole e medie operazioni su nicchie profittevoli (ad esempio private markets e credito), dove la scala conta ma conta anche la specializzazione.
- Partnership meno “totali”: accordi commerciali o industriali più flessibili, con governance più leggera e minor esposizione politica.
E Natixis? Una ricerca di scala che non finisce qui
Anche per Natixis l’esigenza di massa critica resta. Se la stagione delle mega-fusioni si blocca su ostacoli politici e di governance, la finanza tende a cambiare forma, non obiettivo: più alleanze tematiche, più accordi di distribuzione, più acquisizioni “a tasselli”. Il mercato europeo del risparmio gestito continua a muoversi, perché la pressione competitiva globale (soprattutto americana) non aspetta i tempi del dibattito politico.
Il punto politico-industriale: campioni europei sì, ma chi tiene il volante?
La vicenda lascia una morale chiara: tutti invocano campioni europei, ma quando arriva il momento di decidere chi governa e dove si prendono le decisioni, il consenso si sbriciola. È il paradosso delle grandi integrazioni finanziarie: l’Europa è un’idea, la sovranità è una pratica quotidiana.
E in questo equilibrio, Generali ha scelto la soluzione più pragmatica: fermarsi prima di trasformare un progetto industriale in una frattura permanente tra soci, istituzioni e mercato.