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Golden power, l’Europa contesta l’Italia sul caso Unicredit

- di: Bruno Coletta
 
Golden power, l’Europa contesta l’Italia sul caso Unicredit
Bruxelles sfida il decreto del governo sul takeover Banco Bpm: Roma media, Salvini spara. E la Borsa applaude.

Un nuovo fronte Italia-Ue: lo scontro sul potere speciale di Palazzo Chigi

Il cuore del conflitto è un decreto datato 18 aprile 2025, con cui il governo italiano ha imposto vincoli all’operazione di acquisizione di Banco Bpm da parte di UniCredit, ricorrendo ai poteri speciali del cosiddetto golden power. Bruxelles ha alzato il sopracciglio e lo ha fatto con una comunicazione formale: secondo un parere preliminare inviato il 14 luglio 2025, la misura italiana “potrebbe violare l’articolo 21 del Regolamento europeo sulle concentrazioni”, come ha dichiarato ufficialmente Thomas Regnier, portavoce della Commissione europea.

Il nodo giuridico non è solo la legittimità dei vincoli imposti, ma la pretesa stessa di Roma di imporli su un’operazione già benedetta da Bruxelles. Il 19 giugno scorso, infatti, l’Antitrust europea aveva dato il via libera alla fusione senza rilievi.

Cosa contesta Bruxelles? Proporzionalità e mancata notifica

Nel mirino dell’Ue non c’è solo il contenuto del decreto, ma anche la forma: l’Italia non avrebbe notificato preventivamente le sue intenzioni, e avrebbe agito senza coordinarsi con Bruxelles. L’Europa non mette in discussione il diritto degli Stati membri di proteggere “interessi legittimi”, come la sicurezza nazionale o la stabilità del sistema bancario, ma queste misure devono essere “motivate, proporzionate e conformi al diritto europeo”, come chiarisce la lettera del Berlaymont.

Il rischio concreto è quello di una procedura di infrazione. E lo spettro dell’Eu Pilot — già aperto mesi fa sulla legge italiana sul golden power — incombe ancora: un altro fronte su cui Roma è chiamata a difendersi.

Il governo tenta la mediazione, ma Salvini incendia la scena

A Palazzo Chigi prevale la linea della prudenza: “Risponderemo con spirito collaborativo e costruttivo”, ha fatto sapere l’esecutivo in una nota ufficiale diffusa il 14 luglio. Una posizione ribadita anche dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha ricordato come “la competenza sia condivisa” tra Roma e Bruxelles.

Ma non tutti nel governo hanno scelto il profilo basso. Il vicepremier e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini ha attaccato frontalmente l’Europa: “Invece di rompere le scatole su banche, spiagge e motorini, si occupi di poche cose serie e lo faccia bene. Il sistema bancario è strategico, l’Italia può e deve normare come ritiene, senza intromissioni”.

Opposizioni all’attacco: “Una figuraccia internazionale”

Le opposizioni non hanno perso tempo. Il senatore Antonio Misiani (PD) ha parlato di “sconfitta su tutta la linea”, chiedendo il ritiro del decreto per evitare uno scontro frontale con Bruxelles. Gaetano Pedullà (M5S) è stato ancora più duro: “Un’altra figuraccia internazionale del governo Meloni”.

Il tempo stringe. L’Italia ha 20 giorni di tempo per rispondere, e la risposta dovrà essere ben più di una nota diplomatica: in gioco ci sono l'autonomia normativa nazionale e la credibilità europea del governo.

La Borsa applaude: Banco Bpm vola, Unicredit riflette

Paradossalmente, la bufera istituzionale non ha spaventato i mercati. Il titolo di Banco Bpm ha guadagnato il 5,2% nella seduta del 15 luglio, mentre Unicredit è salita dello 0,5%. Gli investitori sembrano puntare sul successo dell’Ops lanciata dalla banca guidata da Andrea Orcel, nonostante l’incognita politica e giuridica.

L’operazione, dal valore stimato di oltre 10 miliardi di euro, punta a creare un colosso bancario da oltre 1.300 miliardi di attivi. L’offerta pubblica di scambio scade il 23 luglio 2025, e si attende a breve una riunione del Consiglio di amministrazione di Unicredit, che dovrà valutare l’impatto del decreto e le possibili contromisure. Al momento, però, non è ancora stata convocata ufficialmente.

Un precedente pericoloso? Gli occhi dell’Europa sul golden power italiano

Il golden power è uno strumento introdotto nel 2012, pensato per proteggere asset strategici nei settori della difesa, energia, telecomunicazioni e, più recentemente, finanza e tecnologia. Ma negli ultimi anni, il suo uso è diventato sempre più frequente — e discusso.

Nel solo 2024, l’Italia ha adottato oltre 40 provvedimenti di veto o condizionamento, il doppio rispetto alla media degli altri grandi Paesi Ue.

L’apertura di un doppio fronte con Bruxelles — uno sul caso Unicredit, l’altro sulla legge-quadro — potrebbe segnare un punto di svolta. Se la Commissione dovesse decidere di procedere con una decisione vincolante, potrebbe addirittura ordinare il ritiro del decreto.

Una partita più europea che bancaria

Quello in corso non è solo un braccio di ferro tra Roma e Bruxelles sul futuro di due banche italiane. È una prova di forza su chi decide cosa in Europa. Un test di sovranità che tocca i nervi scoperti dell’economia e della politica, e che potrebbe avere conseguenze durature non solo per l’operazione Unicredit-Banco Bpm, ma per l’intero equilibrio tra Stati membri e istituzioni europee.

Nel frattempo, la partita si gioca su più tavoli: nei consigli di amministrazione, nei corridoi del Palazzo Berlaymont, nelle aule dei tribunali amministrativi e — come sempre — nel termometro in tempo reale dei mercati.

Il tempo per la mediazione non è infinito. Ma per ora, Roma sembra volerlo usare tutto.

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