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Israele-Iran, il rischio dell’escalation: tra evacuazioni Usa e strategia di deterrenza

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Israele-Iran, il rischio dell’escalation: tra evacuazioni Usa e strategia di deterrenza

L’ombra lunga di un conflitto regionale tra Israele e Iran torna a proiettarsi sul Medio Oriente, stavolta con contorni più concreti e drammatici. Secondo quanto riportano fonti di intelligence americane ed europee, citate da media autorevoli come il New York Times e la CBS, Israele sarebbe pronto a lanciare un’operazione militare contro Teheran. Il punto di rottura, ancora non formalizzato, sembra essere vicino.

Israele-Iran, il rischio dell’escalation: tra evacuazioni Usa e strategia di deterrenza

La reazione degli Stati Uniti – con l’ordine di evacuazione del personale non essenziale dalle ambasciate in Bahrain e Kuwait – testimonia che la minaccia non è più solo retorica. È un avvertimento, un allarme, ma anche un segnale tangibile della percezione di un pericolo imminente.

L’Iran nel mirino israeliano: una strategia a lungo incubata

L’ipotesi di un attacco diretto di Israele contro obiettivi iraniani non è nuova. Da anni, lo Stato ebraico considera il programma nucleare iraniano una minaccia esistenziale. Tuttavia, l’eventualità di un’azione militare è sempre rimasta sospesa tra retorica dissuasiva e calcolo strategico. Oggi, però, gli equilibri sembrano essersi modificati. La pressione diplomatica non ha prodotto risultati sostanziali, l’asse Iran-Russia è più saldo, l’influenza di Teheran in Libano, Siria, Iraq e Yemen è in crescita. Per Israele, la finestra per un’azione preventiva si starebbe restringendo, e con essa l’opzione della deterrenza passiva.

La risposta americana: evacuazione e ridispiegamento


Di fronte all’ipotesi di una risposta iraniana – che potrebbe concretizzarsi in attacchi contro interessi americani nella regione – Washington ha scelto una linea prudente. L’ordine di evacuazione del personale diplomatico non essenziale da due importanti sedi del Golfo rappresenta una misura straordinaria che raramente viene adottata senza fondati motivi. In parallelo, si assiste a un ridispiegamento delle forze armate Usa nella regione, nel tentativo di bilanciare il rischio di escalation con una strategia di contenimento. È un segnale rivolto tanto agli alleati quanto agli avversari: l’America non vuole lo scontro, ma è pronta a reagire.

La diplomazia al bivio: assenza di canali efficaci


Uno degli aspetti più preoccupanti dell’attuale scenario è la scarsa efficacia dei canali diplomatici. Le relazioni tra Teheran e le cancellerie occidentali si sono logorate negli anni, e i recenti tentativi europei di mediazione sono apparsi deboli e privi di una reale leva negoziale. La guerra a Gaza ha ulteriormente inasprito i toni, rafforzando l’isolamento dell’Iran ma anche la sua retorica anti-occidentale. Israele, dal canto suo, si trova in una fase politica interna complicata, con un governo sotto pressione e un’opinione pubblica divisa tra paura e rabbia. In questo contesto, l’azione militare può diventare uno strumento di coesione nazionale, ma anche un detonatore.

Gli scenari di escalation: il rischio del conflitto su scala regionale

Un’eventuale operazione israeliana contro l’Iran non avrebbe un impatto limitato. Il rischio principale è che si inneschi una catena di ritorsioni e contrattacchi in un’area già instabile. Gli Houthi in Yemen, Hezbollah in Libano, le milizie sciite in Iraq: tutti possono attivarsi in risposta a un’aggressione contro Teheran. Inoltre, la presenza di forze americane nei teatri di crisi espone direttamente Washington a colpi di ritorno. Una reazione iraniana anche minima, ma spettacolare, contro obiettivi Usa, potrebbe trasformare il conflitto da bilaterale a multilaterale, con effetti dirompenti sull’intera regione del Golfo.

Il ruolo dell’Europa e l’inerzia strategica

L’Unione Europea, in questa fase, appare spettatrice più che protagonista. Manca una visione condivisa, e le pressioni diplomatiche sui due fronti restano marginali. La debolezza del multilateralismo è ormai cronica, e la crisi in Medio Oriente lo certifica ulteriormente. A fronte di una possibile escalation, l’Europa rischia di subire gli effetti secondari – migratori, energetici, economici – senza poter incidere sul piano delle decisioni strategiche. L’inerzia delle potenze tradizionali apre ulteriormente il campo a nuovi equilibri: il ruolo della Cina, ad esempio, è in crescita, così come quello della Russia, sempre più attiva nella diplomazia parallela.

La fragilità dell’equilibrio e il peso delle scelte


L’intero quadro appare sospeso su un filo sottilissimo. Le decisioni dei prossimi giorni – un ordine di attacco, una risposta contenuta, un rilancio diplomatico – potrebbero ridefinire l’intera architettura del Medio Oriente. La morte del generale iraniano Mohammad Reza Zahedi in un bombardamento a Damasco, attribuito a Israele, ha già mostrato quanto il livello di rischio sia elevato. Ora si attende, con il fiato sospeso, se il passo successivo sarà quello del punto di non ritorno o della de-escalation. Il prezzo, in ogni caso, potrebbe essere altissimo.

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