Fonti della sicurezza israeliana hanno confermato in via riservata i dettagli di un'operazione militare su vasta scala condotta nella notte tra il 12 e il 13 giugno contro l’Iran, considerata da Tel Aviv una risposta necessaria e preventiva alla crescente minaccia nucleare di Teheran.
Israele: i dettagli dell'operazione segreta contro l’Iran, denominata "Rising Lion"
L’azione, denominata "Rising Lion", è stata pianificata per mesi con una rete coordinata di operazioni aeree, droni, cyber attacchi e interventi sul terreno da parte di agenti del Mossad. L’obiettivo era colpire simultaneamente infrastrutture militari e figure chiave del programma nucleare iraniano, in particolare dirigenti delle Guardie Rivoluzionarie e scienziati nucleari ritenuti fondamentali per il completamento del potenziale ordigno.
Attacchi multipli e obiettivi precisi
Secondo quanto riferito da alti funzionari della difesa israeliana, oltre duecento jet avrebbero partecipato all’operazione, colpendo con precisione più di cento obiettivi in Iran, tra cui i siti di Natanz, Isfahan e Parchin. Le basi radar e le installazioni missilistiche sono state neutralizzate grazie al supporto di droni lanciati da basi avanzate segrete, che avevano il compito di accecare i sistemi di difesa iraniani. Parallelamente, fonti interne hanno rivelato che nei mesi precedenti erano già stati posizionati uomini del Mossad e unità speciali sul terreno, con il compito di sabotare dall’interno alcune delle strutture colpite e agevolare la guida dei bombardamenti con strumenti di puntamento laser.
La morte dei vertici iraniani
Tra gli obiettivi colpiti vi erano anche personalità centrali nella catena di comando iraniana. Le fonti israeliane sostengono che l’operazione abbia portato all’uccisione di almeno tre figure di primo piano: il capo delle Forze Armate, Mohammad Bagheri, il comandante delle Guardie Rivoluzionarie Hossein Salami e il consigliere strategico Ali Shamkhani. Si tratterebbe, se confermato, di uno dei colpi più duri inflitti alla leadership iraniana dalla rivoluzione del 1979. Il bombardamento mirato contro i convogli e le residenze blindate dei vertici militari è stato supportato da informazioni raccolte in loco e dalla rete di sorveglianza cibernetica attiva sul territorio.
Il ruolo degli Stati Uniti e la reazione iraniana
Dalle stesse fonti emerge che Washington sarebbe stata informata dell’operazione alcune ore prima del lancio, anche se la Casa Bianca ha smentito qualsiasi coinvolgimento diretto. Le autorità israeliane parlano di un “via libera tacito” da parte degli alleati, considerato il comune obiettivo di contenere l’espansione nucleare iraniana. Il presidente Trump, interpellato a caldo, ha affermato che Israele ha pieno diritto di difendersi e che il mondo occidentale deve essere pronto a sostenere gli alleati nella regione. La reazione dell’Iran è stata immediata: centinaia di droni sono stati lanciati in direzione del territorio israeliano, molti dei quali abbattuti prima dell’impatto. In alcune zone del sud del Paese si sono verificati danneggiamenti di strutture civili, ma non si segnalano vittime.
Una nuova fase dello scontro
La portata dell’operazione e la sua riuscita parziale potrebbero segnare un punto di svolta nella guerra a bassa intensità che da anni si combatte tra Iran e Israele. Se l’Iran dovesse confermare le perdite subite, ci si troverebbe di fronte a un precedente militare capace di ridefinire gli equilibri nella regione. Le cancellerie europee e le Nazioni Unite hanno chiesto moderazione, ma appare evidente che Israele si sia spinto oltre la tradizionale strategia della deterrenza, optando per un’azione diretta e devastante. L’operazione "Rising Lion", secondo quanto riferito dalle stesse fonti, potrebbe rappresentare solo la prima fase di un piano più ampio volto a impedire in maniera definitiva che Teheran possa dotarsi dell’arma atomica. Resta ora da capire se e come l’Iran risponderà a un’azione che rischia di innescare una nuova escalation nel cuore del Medio Oriente.