Trentotto morti, bombardamenti mirati, accuse reciproche. L’ultima escalation tra India e Pakistan riporta l’orologio della crisi a un’ora che credevamo superata. Invece il tempo nel Subcontinente si è fermato da decenni, ostaggio di una rivalità che ha radici profonde: religiose, territoriali, geopolitiche. Il Kashmir resta la ferita aperta, mai curata, che ogni tanto torna a sanguinare.
Kashmir, il nuovo fronte caldo della disattenzione globale
Le dichiarazioni del ministro indiano Rajnath Singh sono chiare: “Abbiamo esercitato il diritto di risposta, distrutti i siti terroristici”. Un messaggio interno prima ancora che internazionale.
Islamabad evoca il deterrente nucleare
La risposta del Pakistan è giunta altrettanto puntuale, ma con toni più gravi. Non solo si denuncia la violazione della sovranità, ma si parla apertamente di “rischio nucleare”. Quando due Paesi con l’atomica iniziano a evocare scenari simili, il mondo dovrebbe fermarsi. Ma oggi la soglia dell’allarme si è alzata, le guerre si normalizzano, e la diplomazia si fa sempre più silenziosa. L’Europa, presa da se stessa, si limita a un comunicato di circostanza: “La guerra non fa bene a nessuno”.
Trump tra propaganda e realismo
Dalla Casa Bianca, il presidente Donald Trump ha chiesto la fine dell’escalation. Una frase che sembra dire tutto e niente. L’America, in questo nuovo ciclo trumpiano, appare ancora più centrata su sé stessa, incapace o disinteressata a gestire crisi lontane che non garantiscano ritorni immediati. Eppure, l’instabilità tra India e Pakistan può avere conseguenze devastanti: l’equilibrio del Sud globale passa anche da qui, tra montagne contese e eserciti in allerta.
Un conflitto che attraversa la storia
La questione del Kashmir non si risolve con un raid né con una dichiarazione. È una vertigine che dura da settant’anni e che ha prodotto guerre, attentati, occupazioni, repressioni. Ogni governo, a Islamabad come a Nuova Delhi, ha sempre usato il nemico esterno per rafforzarsi internamente. La geopolitica qui non è astratta: è un alibi, una miccia, una trincea.
Il mondo guarda altrove
Quello che sorprende non è la violenza, ma l’indifferenza. Il mondo ha smesso di considerare questa crisi pericolosa. Troppo lontana, troppo complicata, troppo vecchia. Eppure, è proprio nei conflitti dimenticati che può nascere l’incidente che cambia tutto. Quando due potenze nucleari si confrontano con artiglieria e parole al vetriolo, la possibilità dell’errore è più alta della saggezza.