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Lagarde avverte l’eurozona: crescita o stagnazione fiscale

- di: Marta Giannoni
 
Lagarde avverte l’eurozona: crescita o stagnazione fiscale

 Sotto esame le nuove regole Ue, investimenti pubblici e ruolo dei governi.

(Foto: Christine Lagarde, presidente Bce).

La presidente della Bce indica una strada precisa: usare le nuove regole fiscali per sostenere investimenti e riforme, oppure rassegnarsi a una lunga stagione di crescita anemica. Con l’Italia in coda alla classifica europea e la politica tentata di usare le banche centrali come bancomat, l’avvertimento non è tecnico: è politico, e riguarda il futuro dell’euro.

Da Francoforte a Roma, il cambio di paradigma

Negli ultimi giorni Christine Lagarde ha abbandonato i toni più felpati dei banchieri centrali per parlare in modo diretto ai governi dell’eurozona. In una recente relazione sulla politica di bilancio e la crescita in Europa, la presidente della Bce ha descritto il rischio che l’area euro scivoli in una “stagnazione fiscale”, un circolo vizioso in cui la paura del debito soffoca gli investimenti e, con essi, il potenziale di sviluppo dell’intera area.

Secondo Lagarde, l’era in cui i mercati guardavano quasi esclusivamente al rapporto debito/Pil è finita: oggi il vero discrimine è la capacità di crescere nel medio periodo. E su questo terreno – produttività, innovazione, investimenti comuni – l’Europa sta accumulando ritardo rispetto a Stati Uniti e Cina.

Il nodo delle nuove regole fiscali europee

Le nuove regole di governance economica dell’Unione europea offrono agli Stati membri la possibilità di allungare fino a sette anni il percorso di aggiustamento del deficit pubblico, a patto di impegnarsi in piani di investimento e riforme strutturali che rafforzino produttività e crescita. È il cuore del compromesso: più tempo per rimettere in ordine i conti, in cambio di riforme credibili e di spesa buona, indirizzata al futuro.

Lagarde però mette in evidenza un dato poco discusso: solo una minoranza dei Paesi dell’area euro ha scelto di imboccare questa strada, accettando di legare la flessibilità sui tempi del rientro agli impegni sugli investimenti. Gli altri si muovono in modo più prudente, quando non apertamente difensivo, preferendo consolidare i conti e rinviare le decisioni sulle politiche per la crescita.

Per la presidente della Bce è una scelta miope. L’ossessione per il rientro rapido del deficit può produrre una “stagnazione fiscale”: la corsa al consolidamento riduce investimenti e crescita potenziale, e proprio questa crescita debole costringe i governi a fare nuovi aggiustamenti in futuro, in un loop che si autoalimenta.

Perché la vera minaccia è la stagnazione, non il debito

Lagarde non assolve chi ha accumulato un debito pubblico elevato: ricorda che il debito va riportato su un sentiero discendente e gestito con prudenza. Ma ribalta la gerarchia delle priorità. In un contesto in cui l’economia si muove lentamente, il problema non è solo la quantità di debito, ma la capacità di generare crescita sufficiente a reggerlo nel lungo periodo.

Il tema riguarda da vicino anche le banche centrali. Se la produttività ristagna, il cosiddetto tasso di interesse naturale tende a scendere. Questo significa che, quando arriva un nuovo shock – una crisi finanziaria, un conflitto commerciale, una pandemia – le banche centrali hanno meno margine di manovra per tagliare i tassi prima di ritrovarsi al limite inferiore. Senza un supporto coerente dalle politiche di bilancio, la sola politica monetaria non basta a garantire stabilità, crescita e transizione verde.

Italia tra spread in calo e crescita al rallentatore

Nel quadro europeo, l’Italia occupa un posto scomodo. Le ultime previsioni della Commissione europea indicano per il nostro Paese una crescita del Pil di appena 0,4% nel 2025 e 0,8% nel 2026, con un ritmo che resterebbe debole anche nel 2027. Numeri che collocano Roma in coda alla classifica europea, ben al di sotto della media dell’eurozona.

Paradossalmente, questo rallentamento arriva mentre alcuni indicatori di mercato giocano a favore del governo: lo spread tra Btp e Bund si è ridotto rispetto ai picchi registrati a inizio anno e una primaria agenzia di rating ha migliorato il giudizio sull’affidabilità del debito sovrano, allontanando – almeno per ora – lo spettro dei rating a un passo dal livello speculativo.

Proprio questa combinazione – mercati più tranquilli e crescita fiacca – rende ancora più urgente la domanda che Lagarde rivolge ai governi: “Che cosa facciamo con questa finestra di opportunità?”. Se l’Italia usa margini e flessibilità solo per tirare una riga sotto i conti e rinviare gli investimenti strutturali, rischia di cristallizzare una crescita vicino allo zero. Se invece sfrutta le nuove regole Ue per spingere su infrastrutture, istruzione, innovazione, transizione energetica e piena attuazione del Pnrr, può trasformare una fase di apparente calma in un’accelerazione che oggi nessuno sconta.

Investimenti comuni e capitale privato: la ricetta mancata

C’è un altro punto dell’intervento di Lagarde che guarda al cuore del progetto europeo: le risorse comuni e il ruolo del capitale privato. La presidente della Bce ricorda che Next Generation EU ha dimostrato quanto uno strumento condiviso possa stabilizzare la crescita e rafforzare la fiducia degli investitori. Ma quei fondi sono, per definizione, temporanei.

Nel frattempo, la concorrenza globale corre. Gli Stati Uniti hanno varato piani industriali di scala colossale, mentre la Cina continua a spingere sulle tecnologie chiave, dalle batterie alle auto elettriche fino alle rinnovabili. In questo scenario, l’Europa non può limitarsi a difendersi.

Lagarde invita a un salto di qualità: usare le nuove regole fiscali non solo per “tollerare” un po’ più di deficit, ma per costruire piattaforme europee capaci di mobilitare capitale privato su scala molto più ampia. In pratica, meno bonus a pioggia e più progetti industriali credibili, con tempi certi e governance trasparente.

Un’economia pensata per un mondo che non esiste più

Il messaggio si inserisce in una riflessione più ampia che Lagarde ha condiviso negli ultimi interventi pubblici. L’economia europea, osserva, è stata costruita per un mondo caratterizzato da commercio globale aperto, energia a basso costo e geopolitica relativamente stabile. Oggi quel mondo non esiste più.

Tra dazi americani, guerre commerciali, tensioni con Russia e Cina, la vecchia strategia europea basata sull’export manifatturiero e sull’energia a buon mercato non basta più. Da qui l’insistenza su riforme che aumentino la domanda interna, la digitalizzazione, la sicurezza energetica e la capacità di produrre in Europa tecnologie critiche.

In questo quadro, parlare solo di “rigore” o solo di “espansione” di bilancio è fuorviante. Il vero discrimine è fra chi usa il bilancio pubblico per rafforzare il potenziale di crescita – e quindi la resilienza democratica ed economica – e chi lo usa per misure di breve periodo, destinate a esaurirsi con il prossimo ciclo elettorale.

L’indipendenza delle banche centrali sotto tiro

C’è infine un passaggio che guarda oltre i confini europei ma ha ricadute dirette sul Vecchio continente: la difesa dell’indipendenza delle banche centrali. Lagarde sottolinea che l’esperienza degli ultimi decenni mostra una correlazione chiara: dove l’autorità monetaria è davvero indipendente, l’inflazione tende a essere più bassa e meno volatile.

Il confronto implicito è con gli Stati Uniti di Donald Trump, dove la Casa Bianca ha avviato una campagna senza precedenti di pressione sulla Federal Reserve: minacce di rimuovere il presidente Jerome Powell, tentativi di sostituire i governatori più critici rispetto alle richieste di tagliare i tassi, attacchi pubblici alle decisioni di politica monetaria. Una linea che ha aperto un contenzioso politico e giudiziario sul ruolo e sull’autonomia della banca centrale americana.

In Europa, Lagarde manda un segnale netto: “Rimane sempre il timore che un governo miope cerchi di forzare la mano di una banca centrale per farsi finanziare il debito, nonostante le lezioni della storia”. Un’avvertenza che vale per tutti: per i governi, che non devono considerare la Bce uno strumento per sfuggire alle responsabilità di bilancio, e per i cittadini, che hanno tutto l’interesse a preservare istituzioni monetarie indipendenti, capaci di difendere il potere d’acquisto dei redditi e dei risparmi.

La sfida all’Europa (e all’Italia): usare davvero le nuove regole

Il filo conduttore è chiaro: l’Europa non è condannata alla stagnazione, ma rischia di finirci per scelta politica. Le nuove regole fiscali, i fondi comuni, la possibilità di mobilitare capitale privato offrono strumenti inediti per costruire una crescita diversa.

La condizione è che i governi abbandonino la logica del “minimo sindacale” – limitarsi a non violare le regole – e decidano di usarle per ciò che Lagarde indica senza giri di parole: investimenti pubblici, riforme strutturali, più produttività.

Per l’Italia, ultima della classe nelle previsioni di crescita, la posta in gioco è ancora più alta. Il calo dello spread e il miglioramento del rating non sono un punto di arrivo: sono, semmai, un test di credibilità. Se non saranno seguiti da una strategia chiara su investimenti, scuola, sanità, innovazione e transizione energetica, saranno ricordati solo come l’ennesima occasione sprecata.

Lagarde ha fatto la sua parte: ha chiarito che la Bce difenderà l’indipendenza e non verrà usata per monetizzare il debito. Ora tocca alla politica, in Italia e in Europa, dimostrare di aver capito che il vero rischio non è un decimale in più di deficit, ma un decennio di crescita troppo bassa per tenere insieme conti pubblici, coesione sociale e democrazia.

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