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Mattarella e la lezione di Osimo: da confine di dolore a ponte d’Europa

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Mattarella e la lezione di Osimo: da confine di dolore a ponte d’Europa

Cinquant’anni dopo, il Trattato di Osimo torna come un simbolo. Non solo di diplomazia riuscita, ma di memoria trasformata in convivenza. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ricordando la firma dell’accordo che nel 1975 chiuse definitivamente la “questione adriatica”, ha voluto restituire a quella pagina il suo significato più profondo: la capacità dell’Italia di voltare pagina, di ricucire ferite storiche con equilibrio e dignità.

Mattarella e la lezione di Osimo: da confine di dolore a ponte d’Europa

Ricorre il cinquantesimo anniversario del Trattato di Osimo, firmato sullo slancio dello spirito di Helsinki, per comporre in modo positivo la tormentata ‘questione adriatica’”, ha ricordato Mattarella. “A esso dobbiamo la definitiva attribuzione, con certezza giuridica, di Trieste alla Repubblica Italiana e la risoluzione delle divergenze relative ai confini, ingrata eredità della guerra fascista”.

La chiusura di una ferita
Il Trattato, siglato tra Italia e Jugoslavia, mise fine a decenni di ambiguità e tensioni, fissando con chiarezza i confini orientali e riconoscendo la sovranità italiana su Trieste. Un accordo che arrivò in un tempo delicato, quando la Guerra fredda faceva dell’Adriatico una frontiera ideologica oltre che geografica.

Per Mattarella, quella scelta rappresentò “la chiusura di uno dei passaggi più amari della storia italiana”, ma anche l’inizio di un’altra storia: quella di un confine trasformato “da luogo di contrapposizione a spazio di cooperazione”, oggi reso ancora più saldo dall’appartenenza comune di Italia, Slovenia e Croazia all’Unione Europea.

Da frontiera a laboratorio di convivenza
La riflessione del Capo dello Stato non è solo commemorativa. È un invito a leggere Osimo come modello di diplomazia contemporanea, un paradigma di come le nazioni possano riscrivere la propria geografia morale oltre che politica.
“La cooperazione transfrontaliera, insieme al riconoscimento delle minoranze linguistiche, ha contribuito a bonificare i residui di odio e a promuovere benessere e stabilità”, ha affermato Mattarella.
Quelle parole, nel linguaggio sobrio del Quirinale, valgono come un manifesto europeo: la pace non è un’assenza di conflitto, ma un lavoro continuo di riconciliazione.

Oggi, in un continente attraversato da nuove tensioni, il presidente ne fa una lezione di metodo e di coraggio politico. Non è solo la memoria di un confine che si è pacificato: è il promemoria di come si costruisce fiducia tra popoli che la storia aveva diviso.

La diplomazia che serve ancora
Nel richiamare lo “spirito di Helsinki”, Mattarella riporta l’Italia alla stagione della diplomazia multilaterale, quella che seppe, nel pieno della Guerra fredda, credere nel dialogo come forza trasformativa.
In un’epoca di nuovi muri e di confini che tornano a chiudersi, il riferimento non è casuale: Osimo ricorda che ogni frontiera può diventare cerniera se la politica si assume la responsabilità della memoria.

L’accordo del 1975 non fu privo di contestazioni, ma il tempo ne ha certificato la lungimiranza. Trieste è diventata, in mezzo secolo, uno dei confini più aperti d’Europa: da città contesa a crocevia di culture, porto del dialogo e dell’incontro.

La memoria come risorsa politica
La forza delle parole del Presidente sta nel trasformare la celebrazione in un ragionamento più ampio: come gestire oggi i conflitti, le identità, le frontiere.
Mattarella ha parlato di “riconciliazione e collaborazione ampia”, di una cooperazione fondata sul rispetto delle minoranze linguistiche e culturali. Un’idea che, letta in controluce, sembra rivolgersi anche al presente: al mosaico balcanico, ai rapporti con l’Europa orientale, alla fatica dell’Unione nel rispondere alle crisi globali.

Il ricordo di Osimo diventa così un gesto politico: celebrare il passato per indicare una via nel presente.
È la continuità di una certa idea d’Italia – quella che preferisce i trattati alle contrapposizioni, il dialogo all’orgoglio sterile, l’Europa come destino più che come opportunità.

Da confine a simbolo
C’è un filo che lega Osimo al cuore dell’Europa di oggi. È la convinzione che la pace, per restare viva, abbia bisogno di manutenzione. E che la memoria non sia solo commemorazione, ma una forma di responsabilità civile.

A cinquant’anni dalla firma, il Trattato di Osimo parla ancora a un continente che si interroga sui propri limiti e sui propri confini.
Lo fa attraverso la voce di un presidente che continua a credere che la storia, se capita e condivisa, possa diventare politica del futuro.

E così, mentre il mondo torna a dividersi, l’Italia – con Trieste come simbolo – ricorda che il vero confine da difendere non è quello della terra, ma quello della convivenza.

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