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Meloni costretta a fare capire agli alleati chi comanda

- di: Redazione
 
Meloni costretta a fare capire agli alleati chi comanda
Un fantasma si aggira nei palazzi del nuovo potere romano. E' lo spettro di nuove elezioni politiche, una ipotesi che, ragionevolmente, dovrebbe essere lontanissima e invece, contro ogni logica, potrebbe materializzarsi se Giorgia Meloni non riuscirà, come si potrebbe dire, a fare capire chi comanda.
Non è una frase buttata lì, perché, a dispetto di ogni ragionevole pensiero, Matteo Salvini, giusto il tempo di prendere possesso del suo dicastero - molto importante, ma a lui forse poco interessa, perché di relativo ritorno in termini di immagine -, ha cominciato a parlare non da ministro, ma come se la sua vera carica fosse solo data in prestito a Giorgia Meloni.

Meloni costretta a fare capire agli alleati chi comanda

Il galateo non scritto della politica di una coalizione, quando viene portata avanti nel rispetto di un obiettivo comune, impone che il programma, il sentiero, la via maestra di un governo li può indicare solo il presidente del consiglio, certo non solo per motivi di organizzazione. E' lui o lei, il premier, il regista che, come è giusto che sia, diventa responsabile di tutto: del bene e anche del male, pur se esso - il male - è provocato da qualcuno dei suoi ministri per meri obiettivi personali.
Nel governo Meloni questo non sta accadendo e sarebbe difficile capire come mai Salvini si comporti in questo modo - facendo annunci a destra e a manca, senza evidentemente consultare il ''conducente'' - se non se ne conoscesse la grande furbizia, la capacità di osare anche dove magari questo diventa un azzardo.

Cosa fare del reddito di cittadinanza, parlare di pensioni o di grandi opere infrastrutturali dovrebbe essere prerogativa del premier perché, a questo punto, se tutti seguissero Salvini nella sua singolare interpretazione delle pertinenze, da domani ogni ministro si sentirebbe autorizzato a dire la sua.
Dicendo fesserie (o anche cose intelligenti), ma lo farebbe pensando: perché lui sì e io no?
Poi ci sarebbe un'altra questione, affatto marginale, come le richieste che arrivano da Forza Italia che, sentendosi penalizzata nella distribuzione dei ministeri, ora vuole fare il pieno di viceministri e sottosegretari, quasi che sia uscita trionfante delle elezioni. Un altro elemento di tensione di cui il premier farebbe volentieri a meno, ma di cui si deve occupare e in fretta.

Di tensione ufficialmente non se ne parla, ma appare abbastanza evidente che la deriva dei comportamenti di Salvini vanno a scontrarsi contro la versione personalistica del governo che Giorgia Meloni ha dato sia alla Camera che al Senato, facendo capire chiaramente che, se è vero che si farà carico delle cose positive, lo farà anche per quelle negative. E qualcuno dovrebbe pure spiegare come può ancora andare avanti un governo che sembra essere bicefalo, anche se nessuno ha autorizzato Salvini a comportarsi come un primo ministro 2.0. Per questo, se non dovesse riuscire a riportare il suo ministro nell'alveo di un'azione di governo concordata, Giorgia Meloni potrebbe anche ritenere la situazione non più gestibile, tornando al Quirinale solo per dire: Presidente, così non si può andare avanti. E statene certi che, pur se davanti ad una situazione drammatica del Paese, in un'eventuale ennesima elezione, Giorgia Meloni farebbe il pieno di voti. Le basterebbe solo aprire le porte della sede di Fratelli d'Italia di via della Scrofa ai forzisti in fuga da un partito preda di una guerra di fazioni.
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