Siccità, cos’è e come funziona il Piano laghetti proposto dall’Anbi

- di: Barbara Leone
 
Mentre al nord le risaie giacciono incolte, il Mezzogiorno è alle prese con un’inedita stagione piovosa. Un’Italia idricamente capovolta, quella fotografata dall’Anbi, l’Associazione nazionale delle bonifiche e degli invasi (ovvero l’ente che coordina tutti i consorzi di bonifica italiani). Con il sud florido e il nord a secco attraversato dal Po che, non più approvvigionato dai ghiacciai, assomiglia sempre più ad un fiume minore. La drammaticità della situazione è sotto gli occhi di tutti, ma non tutti se ne fanno carico, così come l'emergenza consiglierebbe. L'anno che abbiamo alle spalle, denuncia Anbi, è stato il più secco dal 1800, con danni alle colture quantificati in 7 miliardi; tra gennaio e giugno, rispetto al decennio 1991-2020, le precipitazioni si sono ridotte del 46 % , mentre nel 2021 gli incendi sono aumentati del 320% rispetto all'anno precedente.A fronte di tutto ciò, in mare si disperde ben l'89% delle piogge e solo l'11% viene trattenuto negli invasi. L'assurdità è che gli invasi non sono utilizzati al meglio se, come sostiene il direttore Anbi Massimo Gargano, i bacini centro-meridionali, quali quelli di Occhito, Liscione e Locone, giunti alla massima capacità, rilasciano inutilizzate le acque in eccesso indirizzandole verso il mare.

Siccità, cos’è e come funziona il Piano laghetti proposto dall’Anbi

“E’ una ricchezza del Paese - sostiene Gargano - di cui potrebbero godere territori vicini, grazie a nuovi schemi idrici ed accordi fra Regioni”. Ed è proprio in questa direzione che va la proposta lanciata da Anbi: il cosiddetto Piano laghetti. Una proposta peraltro interessante sotto due punti di vista: quello dell’uso consapevole della risorsa idrica, e quello occupazionale. Il Piano infatti, di cui sono pronti progetti e risorse (una parte degli 8 miliardi gestiti dal ministro Raffaele Fitto), potrebbe occupare in totale 45mila persone, con qualifiche e professionalità diverse. Un progetto di cui si discute da tempo, dal momento che Anbi e Coldiretti lo presentarono per la prima volta nell’autunno del 2021. Quando, in pratica, le avvisaglie di un’imminente siccità c’erano già tutte, ma permaneva la speranza di avere ancora abbastanza tempo.

Il Piano, infatti, è stato pensato come una grande opera di prevenzione in vista della possibile carenza di acqua, e quindi con tempi di realizzazione piuttosto lunghi. Visto il precipitare della situazione, però, dallo scorso anno amministratori e politici hanno iniziato a considerarlo un rimedio urgente alla carenza di acqua. Nelle intenzioni dei suoi promotori, il progetto dovrebbe sfruttare meglio tutta l’acqua che oggi viene dispersa. In sostanza, il piano consiste nella realizzazione di 4.000 invasi “consortili”, cioè costruiti dai consorzi di bonifica, e 6.000 invasi fatti dalle aziende agricole. Si tratta di 10.000 bacini artificiali di piccole dimensioni e con un basso impatto ambientale perché non prevedono opere in cemento o l’interruzione di corsi d’acqua. In questi "laghetti", quindi, potrebbe finire l'acqua di cui, secondo necessità, gli invasi come Occhito o Liscione devono disfarsi per non superare la capacità di contenimento della risorsa, ma senza disperderla in mare. Nonostante la necessità di costruire nuovi invasi sia condivisa da gestori dei consorzi e amministratori pubblici, il Piano laghetti ha ricevuto anche alcune critiche.

Una su tutte, quella del WWF che ha sottolineato come “il proliferare di nuovi invasi e programmi d’intervento straordinari, dettati dall’emergenza, rischia di peggiorare la situazione aggravando il bilancio idrico complessivo degli ecosistemi e delle falde”. Mentre il Centro italiano per la riqualificazione fluviale, un’associazione fondata da un gruppo di tecnici e professionisti interessati ad alimentare il dibattito sulla gestione sostenibile dei corsi d’acqua, sostiene che la costruzione degli invasi comprometta gli habitat naturali con effetti negativi per le piante e gli animali e che molta dell’acqua raccolta si disperda per effetto dell’evaporazione. Una delle alternative, sostiene l’associazione, è privilegiare coltivazioni che necessitano di meno acqua.

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