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Orrore nel carcere di Prato: stupri e torture tra detenuti

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Orrore nel carcere di Prato: stupri e torture tra detenuti
Nel carcere La Dogaia di Prato sono emersi episodi di violenza sessuale e tortura tra detenuti che la Procura ha definito “agghiaccianti”. I fatti, venuti alla luce durante un’indagine più ampia relativa ai disordini avvenuti il 4 giugno e il 5 luglio scorsi, delineano un quadro drammatico delle condizioni detentive, dove il diritto alla sicurezza personale viene sistematicamente violato. Le vittime sarebbero almeno due: un giovane detenuto ripetutamente stuprato dal compagno di cella sotto minaccia di un rasoio, e un altro costretto a subire sevizie fisiche e sessuali da parte di due reclusi.

Orrore nel carcere di Prato: stupri e torture tra detenuti

Nel primo episodio, un detenuto è stato abusato in modo sistematico dal proprio compagno di cella. Le violenze, secondo la ricostruzione degli inquirenti, erano accompagnate da continue minacce, tra cui l’uso di un rasoio per intimidirlo e costringerlo al silenzio. Il carcere, in questo contesto, non è riuscito a garantire la separazione e la protezione minima tra i soggetti vulnerabili e quelli a rischio. L’uomo abusato avrebbe sopportato settimane di abusi prima di riuscire a segnalare i fatti in modo credibile e protetto.

Il secondo episodio: un inferno durato giorni

Ancora più crudele il secondo episodio documentato dalla procura: due detenuti avrebbero sottoposto un compagno di cella, tossicodipendente e omosessuale alla prima esperienza carceraria, a un’autentica campagna di violenza prolungata. Secondo le testimonianze raccolte, il giovane sarebbe stato pestato ripetutamente con pugni e oggetti contundenti, ustionato con pentole di acqua bollente, colpito alla testa e violentato più volte. Le sevizie sarebbero durate giorni, in un clima di terrore continuo, senza che nessun operatore penitenziario intervenisse per fermare l’orrore.

Un sistema che non ha visto o non ha voluto vedere

L’indagine della Procura ha sollevato gravi dubbi sull’efficacia del sistema di controllo interno del penitenziario. Le celle dove sono avvenuti gli abusi non erano sottoposte a sorveglianza costante e i segnali di malessere delle vittime non sono stati intercettati in tempo. La direzione del carcere ha dichiarato di aver collaborato attivamente alle indagini, ma ciò non attenua la gravità di quanto accaduto. La magistratura sta valutando se esistano anche profili di responsabilità omissiva da parte del personale dell’istituto.

Un’inchiesta nata dai disordini, ma che apre scenari inquietanti

La miccia che ha portato alla scoperta di questi episodi è stata un’inchiesta per il reato di rivolta, avviata dopo i disordini scoppiati all’interno della struttura nei primi giorni di giugno e luglio. In quel contesto, alcuni detenuti avevano denunciato abusi e violenze, ma solo grazie a ulteriori accertamenti si è arrivati a documentare in modo dettagliato i due episodi ora al centro dell’indagine. Gli inquirenti non escludono che possano emergere altri casi simili, finora coperti da omertà o da un clima di paura generalizzata.

La reazione delle istituzioni: parole e promesse

Il ministro della Giustizia ha chiesto una relazione urgente alla direzione del carcere di Prato e ha annunciato l’invio di ispettori per verificare eventuali responsabilità. Il Garante nazionale dei detenuti ha parlato di “una sconfitta dello Stato di diritto”, sottolineando come il carcere debba essere un luogo di rieducazione, non di barbarie. Anche il Consiglio Superiore della Magistratura ha espresso preoccupazione, sollecitando un’indagine trasparente e rapida.

Il dramma dei detenuti fragili, troppo spesso dimenticati

Le vittime delle violenze scoperte a Prato appartengono a categorie considerate ad alto rischio: persone con problemi di dipendenza, orientamento sessuale minoritario, o inesperienza carceraria. In assenza di misure di tutela efficaci, questi soggetti si trovano esposti a livelli di rischio incompatibili con qualsiasi principio di legalità e umanità. Il caso riapre il dibattito sulla necessità di celle singole per detenuti vulnerabili, formazione specifica per il personale penitenziario e un sistema di segnalazione protetto per chi subisce abusi.

Una ferita per la giustizia, un banco di prova per il sistema

Quanto accaduto nel carcere di Prato non è un episodio isolato ma il sintomo di un problema sistemico. In molte strutture italiane, la carenza di personale, l’eccesso di detenuti e la mancanza di protocolli rigorosi contribuiscono a creare un clima in cui la violenza si insinua, spesso impunita. Questa vicenda rappresenta un banco di prova per l’intero sistema penitenziario e per la capacità dello Stato italiano di garantire i diritti fondamentali anche a chi ha violato la legge.
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