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Produttività in calo, salari fermi: il rischio di un circolo vizioso per l’economia italiana

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Produttività in calo, salari fermi: il rischio di un circolo vizioso per l’economia italiana

Negli ultimi anni, il mercato del lavoro italiano ha registrato un’espansione senza precedenti, con un numero record di occupati. Tuttavia, il dato positivo sull’occupazione si scontra con una tendenza opposta: il calo della produttività del lavoro. Secondo le rilevazioni Istat, nel 2023 la produttività è scesa del 2,5%, dopo una crescita moderata che dal 2014 si attestava su un incremento medio dello 0,5% annuo.

Produttività in calo, salari fermi: il rischio di un circolo vizioso per l’economia italiana

Il fenomeno interessa trasversalmente i principali settori economici. Le attività finanziarie e assicurative hanno subito una contrazione dell’8,1%, seguite da istruzione, sanità e assistenza sociale (-3,9%), attività professionali (-3,3%) e servizi di informazione e comunicazione (-2,9%). Anche il commercio, i trasporti e il turismo registrano flessioni significative (-2,8%), mentre l’industria ha perso il 3,1% di produttività rispetto all’anno precedente.

L’effetto combinato tra salari reali e investimenti
Uno degli elementi chiave per comprendere questa apparente contraddizione è l’andamento dei salari reali. L’analisi condotta da Adapt evidenzia come il calo del potere d’acquisto dei lavoratori, innescato dall’impennata dell’inflazione e dai rincari energetici, abbia spinto le imprese a privilegiare l’aumento della forza lavoro rispetto agli investimenti in tecnologia e innovazione.

La conseguenza è un mercato del lavoro in cui si amplia il numero degli occupati, ma senza un corrispondente aumento del valore aggiunto. In altre parole, la crescita dell’occupazione non si sta traducendo in un miglioramento dell’efficienza produttiva del sistema economico. Questo fenomeno, se protratto nel tempo, rischia di consolidare un circolo vizioso: una produttività stagnante che impedisce la crescita dei salari, con effetti negativi sulla competitività complessiva del Paese.

Il nodo della competitività
Il tema degli investimenti assume un ruolo centrale in questa dinamica. La riduzione della produttività può essere attribuita, in parte, a una minore propensione delle aziende a innovare, orientandosi piuttosto verso strategie di contenimento dei costi del lavoro. La stabilizzazione dei contratti a tempo indeterminato, pur rappresentando un segnale positivo sul fronte occupazionale, non è stata accompagnata da un miglioramento nella qualità del lavoro o da un incremento della produttività per ora lavorata.

L’attuale scenario potrebbe inoltre essere aggravato da una nuova fase di tensione sui mercati energetici, con l’aumento dei prezzi del gas che rischia di incidere nuovamente sui costi di produzione. Senza una ripresa degli investimenti in capitale fisso e digitale, il sistema produttivo italiano rischia di rimanere ancorato a dinamiche di crescita troppo deboli per garantire un recupero stabile.

Le leve per invertire la tendenza
Per uscire da questa situazione di stallo, le politiche economiche dovranno concentrarsi su un doppio fronte: da un lato incentivare gli investimenti in innovazione e digitalizzazione, dall’altro favorire una dinamica salariale che premi la produttività. Strumenti come la detassazione dei premi di produttività, il rafforzamento della formazione continua e il sostegno agli investimenti in ricerca e sviluppo potrebbero rappresentare leve strategiche per rilanciare la competitività del sistema Italia.

Senza un intervento mirato su questi aspetti, il rischio è che l’economia italiana rimanga incagliata in una crescita modesta, caratterizzata da aumenti del PIL che si muovono sulla soglia dello zero virgola, senza una reale ripresa della produttività e del reddito disponibile per i lavoratori.

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