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Putin colpisce i binari: logorare Kiev tra bombe e scandali

- di: Jole Rosati
 
Putin colpisce i binari: logorare Kiev tra bombe e scandali
Putin colpisce i binari: logorare Kiev tra bombe e scandali
Ferrovie distrutte, blackout mirati e un maxi scandalo energetico: l’Ucraina combatte sui binari, al fronte e nei tribunali mentre l’Europa discute come sostenerla e con quali condizioni.
 
(Foto: gli effetti di un attacco russo alle ferrovie ucraine).

L’ultima fase della guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina ha un bersaglio sempre più preciso: la rete ferroviaria, le centrali energetiche, i nodi logistici che tengono in vita un paese in guerra. Mentre i missili e i droni colpiscono stazioni, sottostazioni e raffinerie, Kiev è travolta dal più grave scandalo di corruzione nel settore dell’energia dall’inizio dell’invasione. Il Cremlino punta a sfiancare il nemico, la leadership ucraina è costretta a convincere cittadini e alleati che il sistema può ancora essere ripulito e resistere.

Binari nel mirino: la guerra dei treni

Da mesi, gli attacchi russi contro la rete ferroviaria ucraina sono aumentati in modo drastico. Secondo i dati ufficiali, dall’inizio dell’anno si contano oltre 800 attacchi contro infrastrutture ferroviarie, con più di 3.000 “oggetti ferroviari” danneggiati, dai binari alle sottostazioni elettriche, fino ai depositi di locomotive. I danni complessivi sono stimati attorno al miliardo di dollari.

Il bersaglio non è casuale. In Ucraina, la ferrovia movimenta la quota principale delle merci e una parte enorme del trasporto passeggeri. Su quei binari viaggiano armamenti occidentali, munizioni, soldati diretti al fronte, feriti evacuati, ma anche grano, medicinali, beni di prima necessità. Colpire i treni significa rallentare l’esercito e allo stesso tempo complicare la vita quotidiana dei civili.

Gli attacchi, sempre più spesso, utilizzano droni esplosivi in grado di centrare locomotive, convogli fermi in stazione e grandi nodi ferroviari. Alcuni scali strategici nell’Ucraina orientale, come gli snodi che fanno da ponte verso il Donbass e il sud, sono stati più volte presi di mira con la chiara intenzione di trasformare la ferrovia da spina dorsale del paese a suo punto debole.

Le ferrovie ucraine reagiscono correndo contro il tempo: squadre di emergenza riparano binari e linee elettriche nel giro di ore, si formano unità di difesa aerea interne, si sperimentano sistemi anti-drone lungo i tracciati. Ma un nodo resta critico: la perdita di locomotive diesel ed elettriche, molto più difficili da sostituire in tempi brevi rispetto a qualche centinaio di metri di binario danneggiato.

Blackout mirati e raffinerie in fiamme

Gli attacchi russi non riguardano solo i binari. Dall’autunno, la campagna di bombardamenti ha ripreso a colpire con sistematicità centrali elettriche, sottostazioni, infrastrutture portuali. In alcune regioni del nord-est sono state colpite le sottostazioni che alimentano la ferrovia, costringendo il gestore a dirottare i convogli e a utilizzare locomotive di riserva diesel per mantenere in vita il servizio, spesso con ritardi pesanti.

Kiev non resta a guardare. Le forze ucraine continuano a lanciare raid con droni contro raffinerie e infrastrutture energetiche russe, come nel caso degli impianti colpiti nell’area di Ryazan, dove i video mostrano esplosioni ripetute e vasti incendi. Il messaggio è chiaro: se Mosca punta a lasciare gli ucraini al freddo, Kiev farà pagare un prezzo economico e simbolico anche oltre confine.

Lo scandalo energetico che travolge Kiev

Proprio mentre la Russia intensifica gli attacchi contro l’energia, l’Ucraina scopre di essere stata colpita anche “da dentro”. Un’indagine durata circa 15 mesi ha portato alla luce un presunto sistema di tangenti milionarie e kickback legato alla grande azienda nucleare di Stato e ad altri attori del settore, con un buco stimato intorno ai 100 milioni di dollari.

I magistrati anticorruzione hanno disposto arresti e misure cautelari per diversi manager e intermediari, mentre le rivelazioni su intercettazioni e schemi di riciclaggio hanno provocato un terremoto politico. Il risultato è una raffica di dimissioni ai vertici del governo, incluse quelle del ministro della Giustizia e della ministra dell’Energia, travolti dal crollo di fiducia sulla gestione del settore più delicato in tempo di guerra.

Al centro dell’inchiesta spunta anche la figura di Timur Mindich, uomo d’affari e vecchio collaboratore del presidente, accusato dalle autorità di aver svolto un ruolo chiave nel sistema di intermediazione e nelle presunte mazzette. Mindich non si trova in Ucraina e le autorità hanno annunciato procedimenti in contumacia.

Di fronte allo scandalo, la leadership ucraina cerca di rovesciare il tavolo. Il presidente e il governo annunciano un “audit finanziario” generale delle grandi aziende pubbliche, a partire da quelle dell’energia, con la promessa di rivedere consigli di amministrazione, controlli interni e procedure di appalto. Il messaggio è tanto rivolto ai cittadini ucraini quanto ai partner occidentali: “La corruzione è inaccettabile, nemmeno in guerra”, assicurano da Kiev, sottolineando che le istituzioni anticorruzione stanno finalmente funzionando.

Pokrovsk, Zaporizhzhia e il fronte che si sposta

Mentre nei palazzi del potere si combatte la guerra contro bustarelle e leve clientelari, sul terreno la situazione resta tesa, soprattutto nell’est e nel sud del paese. Pokrovsk, città strategica del Donbass, è diventata uno degli epicentri dei combattimenti.

In questi giorni le forze russe hanno lanciato un massiccio assalto con mezzi leggeri lungo la strada che collega Selydove a Pokrovsk, nel tentativo di entrare da ovest. La risposta ucraina è stata brutale e chirurgica: un attacco aereo ha fatto saltare un tratto chiave della strada, riducendo drasticamente la capacità di rifornimento del nemico verso la città.

I comunicati militari parlano di veicoli distrutti e di posizioni russe inchiodate ai margini delle aree urbane, ma ammettono anche che l’assalto ha ottenuto parziali successi tattici. Le forze ucraine sono impegnate in operazioni di “caccia e distruzione” di postazioni russe all’interno di alcuni quartieri, con un fronte fluido e in continua evoluzione.

Più a sud, nella regione di Zaporizhzhia, i russi rivendicano la conquista di nuovi villaggi e micro-avanzi che, messi insieme, disegnano un lento ma costante logoramento delle difese ucraine. Kiev, da parte sua, parla di ritiri tattici da piccoli insediamenti per occupare posizioni difensive più favorevoli, cercando di far pagare a Mosca ogni chilometro conquistato in termini di perdite.

L’Europa tra linguaggio della forza e dubbi sugli aiuti

Il duello tra logistica colpita e istituzioni da ripulire non si gioca solo a Kiev e al fronte, ma anche nei palazzi europei. Mentre i ministri delle Finanze dell’Unione discutono se e come utilizzare gli asset russi congelati per sostenere l’Ucraina, una nuova tranche di aiuti europei per quasi 6 miliardi di euro si affianca a un piano ben più ambizioso di prestiti garantiti proprio da quei capitali bloccati.

Il dibattito è tutt’altro che semplice: sul tavolo c’è un possibile schema da circa 140 miliardi di euro in prestiti di lungo periodo, sostenuti dai proventi degli asset russi congelati. Alcuni Stati spingono per accelerare, altri temono contenziosi legali e ritorsioni. Ma il principio che si va consolidando è netto: “Chi ha distrutto deve pagare i danni”, è la linea ribadita nelle sedi europee.

In questo quadro si inseriscono le parole, senza giri di frase, dell’Alto rappresentante per la politica estera dell’UE Kaja Kallas, che in un videomessaggio alla Maratona per la Pace organizzata dalla Cisl a Roma ha affermato che l’Europa deve parlare “un linguaggio che la Russia capisca: quello della forza” e che, se si vuole davvero la pace, bisogna essere pronti a difenderla anche sul piano militare.

A Roma, intanto, il tema degli aiuti a Kiev continua a dividere. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, intervenendo anch’egli alla Maratona per la Pace, ha ribadito che l’Italia sta preparando un nuovo pacchetto di aiuti militari all’Ucraina e ha spiegato che si tratta di un sostegno difensivo: “Vogliamo che l’Ucraina sia messa nelle condizioni di difendersi, in attesa che si creino le condizioni per un vero confronto diplomatico”, ha dichiarato, sottolineando che Roma non è “in guerra con la Russia”, ma schierata a tutela del diritto di Kiev a esistere.

Una guerra di logoramento su binari, coscienze e diplomazia

Le immagini di binari spezzati, stazioni al buio e convogli in fiamme raccontano una guerra sempre più concentrata sulle infrastrutture che tengono in piedi un paese. Ma i numeri sui fondi sottratti all’energia pubblica e le dimissioni dei ministri ricordano che l’Ucraina combatte anche contro un nemico interno: la corruzione sedimentata e l’eredità di decenni di opacità.

Per Kiev, la sfida è doppia. Da un lato, resistere alla strategia russa di logoramento, difendendo le città, i nodi logistici, la rete elettrica, i corridoi per gli aiuti umanitari e militari. Dall’altro, dimostrare a cittadini e alleati che non esistono più “zone franche” per gli oligarchi e gli apparati corrotti, nemmeno in pieno conflitto.

Per l’Europa, questa fase della guerra rappresenta un banco di prova politico e morale. Continuare a finanziare Kiev, discutere di asset russi congelati, varare nuovi pacchetti di armi e sostegno energetico comporta rischi, costi e tensioni interne. Ma ogni scandalo portato alla luce, ogni processo avviato, ogni riforma promessa e – soprattutto – realizzata, diventa l’argomento più forte per chi, da Bruxelles a Roma, vuole continuare a aiutare l’Ucraina non solo a sopravvivere, ma a cambiare.

Intanto i treni, quando possono, continuano a correre. Ogni convoglio che arriva a destinazione, ogni linea ripristinata dopo un attacco, è un messaggio a Mosca: la logistica ucraina è ferita, ma non è ancora stata spezzata. E finché quei binari restano percorribili, la strategia di logoramento del Cremlino non è riuscita del tutto.

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