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Referendum 8 e 9 giugno: cittadini al voto su cittadinanza e lavoro, la sfida politica e sociale che interroga l’Italia

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Referendum 8 e 9 giugno: cittadini al voto su cittadinanza e lavoro, la sfida politica e sociale che interroga l’Italia
L’8 e il 9 giugno prossimi gli italiani saranno chiamati a esprimersi su due quesiti referendari di grande rilevanza politica e sociale. Due schede, due temi distinti ma strettamente intrecciati al dibattito pubblico degli ultimi anni: la modifica della legge sulla cittadinanza e l’abrogazione parziale di alcune norme in materia di lavoro, in particolare quelle legate al Jobs Act. Un appuntamento che rischia di incidere profondamente non solo sull’assetto normativo del Paese, ma anche sugli equilibri politici e sul clima sociale.

Referendum 8 e 9 giugno: cittadini al voto su cittadinanza e lavoro, la sfida politica e sociale che interroga l’Italia

Il primo quesito riguarda una possibile modifica della normativa sulla concessione della cittadinanza italiana. In particolare, gli elettori saranno chiamati a decidere se abrogare alcune parti della legge 91 del 1992 che disciplinano l’acquisizione della cittadinanza per i figli di stranieri nati in Italia.

Il fronte promotore, sostenuto da una vasta coalizione di associazioni, sindacati e forze politiche di centrosinistra, punta a superare il principio dello “ius sanguinis” e ad aprire la strada a un riconoscimento automatico della cittadinanza per i cosiddetti “figli di migranti”, nati e cresciuti in Italia. L’obiettivo dichiarato è quello di facilitare l’inclusione sociale e garantire pari diritti a circa 900 mila giovani che oggi, pur essendo italiani di fatto, non lo sono dal punto di vista giuridico.

I contrari, invece, parlano di un rischio di “cittadinanza facile” e di un’operazione demagogica che non terrebbe conto delle esigenze di sicurezza e di controllo dei flussi migratori.

Il quesito sul lavoro: tornano i temi del Jobs Act


Il secondo quesito riguarda l’abrogazione di alcune disposizioni contenute nel Jobs Act, il pacchetto di riforme sul lavoro varato nel 2015 durante il governo Renzi. In particolare, si chiede agli elettori se intendano cancellare le norme che hanno indebolito le tutele dei lavoratori in caso di licenziamento illegittimo nelle aziende con più di 15 dipendenti.

Al centro del quesito, la volontà di ripristinare integralmente l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, eliminando la possibilità per le imprese di sostituire la reintegra con un semplice indennizzo economico. Un tema che divide profondamente il Paese: da un lato i promotori – sindacati e partiti della sinistra radicale – che rivendicano il diritto alla stabilità occupazionale e alla dignità del lavoro; dall’altro le associazioni datoriali e il fronte liberale che considerano il Jobs Act un pilastro per la flessibilità e la competitività del mercato del lavoro.

Un banco di prova per la politica

Il referendum si colloca in un contesto politico già segnato da tensioni e polarizzazioni. La maggioranza di governo, guidata da Giorgia Meloni, ha dichiarato la propria contrarietà a entrambe le consultazioni, temendo che possano trasformarsi in un voto politico di sfiducia nei confronti dell’esecutivo.

Le opposizioni, invece, vedono nel referendum un’occasione per mobilitare il proprio elettorato e rimettere al centro dell’agenda temi come l’inclusione, i diritti civili e le tutele del lavoro, in una fase in cui le disuguaglianze sociali e il precariato continuano a crescere.

Non mancano però le divisioni anche all’interno dei partiti: nel Partito Democratico, ad esempio, il fronte favorevole alla modifica della cittadinanza non coincide integralmente con quello contrario al Jobs Act, mentre tra i Cinque Stelle le posizioni oscillano tra il sostegno ai due quesiti e il timore di alimentare tensioni con le altre opposizioni.

La sfida dell’affluenza

Uno degli interrogativi principali riguarda la partecipazione al voto. Affinché il referendum sia valido, è necessario che venga raggiunto il quorum del 50% più uno degli aventi diritto. Un traguardo che negli ultimi anni si è rivelato sempre più difficile da raggiungere, complice la crescente disaffezione verso la politica e la complessità dei temi proposti.

Le campagne referendarie, al momento ancora sottotono, dovranno puntare a sensibilizzare l’opinione pubblica su questioni che toccano direttamente la vita quotidiana dei cittadini, evitando che la consultazione si trasformi nell’ennesimo voto “tecnico” privo di reale impatto.

Un referendum sul futuro del Paese

Al di là dei contenuti specifici, il referendum dell’8 e 9 giugno rappresenta una cartina di tornasole del clima politico e sociale del Paese. L’Italia si troverà di fronte a una scelta che va ben oltre le norme di legge: riconoscere o meno una nuova idea di cittadinanza e ridefinire il rapporto tra lavoro, diritti e impresa.

Il risultato avrà conseguenze politiche immediate, ma aprirà anche un confronto più ampio su quale modello di società il Paese intenda costruire nei prossimi anni.
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