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Referendum dell’8 e 9 giugno: tutti i quesiti in campo, dal Jobs Act alla cittadinanza

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Referendum dell’8 e 9 giugno: tutti i quesiti in campo, dal Jobs Act alla cittadinanza
L’8 e 9 giugno gli italiani saranno chiamati a votare non solo per le elezioni amministrative e per il secondo turno dei ballottaggi, ma anche per cinque referendum abrogativi che toccano punti nevralgici dell’architettura sociale e giuridica del Paese. I temi in campo spaziano dal reintegro dei lavoratori licenziati illegittimamente alla possibilità di mantenere l’incarico da dirigente sindacale dopo il pensionamento, fino al ruolo del giudice nella valutazione di condotte penalmente rilevanti e alla questione, tutt’altro che marginale, dell’acquisizione della cittadinanza italiana da parte dei figli di immigrati.

Referendum dell’8 e 9 giugno: tutti i quesiti in campo, dal Jobs Act alla cittadinanza

Il quesito probabilmente più noto riguarda l’abrogazione del decreto legislativo 23/2015, ovvero la norma che ha introdotto il contratto a tutele crescenti. Con il Jobs Act, voluto dal governo Renzi, i nuovi assunti dal 7 marzo 2015 non hanno più diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo, ma solo a un’indennità economica, crescente con l’anzianità. Il referendum chiede di cancellare questa norma, ripristinando quindi il diritto al reintegro per tutti i lavoratori licenziati senza giusta causa. Un passaggio che non tocca solo l’impianto normativo ma l’idea stessa di tutela nei rapporti di lavoro.

L’articolo 18 in controluce: un ritorno o una riscrittura?

Pur non menzionato esplicitamente, il quesito riapre di fatto la discussione sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Se vincesse il sì, la distinzione tra lavoratori assunti prima o dopo il 2015 verrebbe superata, ridando al giudice la possibilità di ordinare la reintegrazione anche nei contratti a tutele crescenti. Non si tratterebbe di un ritorno puro e semplice al passato, ma di un segnale chiaro: il Paese intende rafforzare la protezione reale, e non solo monetaria, nei rapporti di lavoro subordinato.

Cittadinanza e diritti: il quesito più politico, anche se poco visibile

Un altro quesito, finora rimasto più sotto traccia, propone di abrogare l’articolo 1, comma 1, lettera a) della legge 5 febbraio 1992, n. 91, che regola l’acquisizione della cittadinanza italiana. Oggi è cittadino per nascita solo chi è figlio di almeno un genitore italiano. Il quesito intende facilitare l’accesso alla cittadinanza per chi nasce in Italia da genitori stranieri. In un contesto segnato da tensioni identitarie e resistenze culturali, la battaglia sulla cittadinanza diventa un indicatore potente del tipo di società che il Paese immagina per il proprio futuro.

Sindacato e pensionati: il nodo della rappresentanza attiva


Un terzo quesito chiede di abrogare la norma che consente a chi è in pensione di mantenere l’incarico di dirigente sindacale. L’obiettivo è impedire che la rappresentanza sindacale sia affidata a soggetti non più direttamente inseriti nel mondo del lavoro. La proposta ha suscitato dibattito all’interno delle stesse organizzazioni sindacali, divise tra chi difende l’esperienza dei dirigenti storici e chi rivendica la necessità di un rinnovamento generazionale.

Il ruolo del giudice nei reati di opinione: la questione sul sindacato penale

C’è infine un quesito che mira ad abrogare la norma che impedisce al giudice di valutare la “tenuità del fatto” in presenza di determinate condotte. La modifica restituirebbe al magistrato la possibilità di decidere, caso per caso, se un comportamento formalmente illecito possa non essere punibile. Un tema tecnico solo in apparenza, che ha invece ricadute importanti sul sistema sanzionatorio, sulla funzione della giurisdizione e sul principio di proporzionalità della pena.

Cinque quesiti, una posta politica alta

Il voto di giugno non è solo una chiamata referendaria su norme specifiche: è un termometro dello stato della democrazia sociale. Tocca nervi scoperti: la protezione del lavoro, il diritto all’identità, la rappresentanza sindacale, il rapporto tra cittadino e potere giudiziario. Temi complessi che richiederebbero un dibattito ampio, pubblico, informato. Ma che rischiano, ancora una volta, di passare sotto silenzio. Eppure, saranno le urne — se la partecipazione sarà sufficiente — a decidere se alcune delle leggi che hanno segnato il Paese negli ultimi trent’anni debbano restare in vigore o essere cancellate con un tratto di matita.
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