La transazione ecologica nel settore automotive

- di: Daniele Maver
 

Il settore dell’automobile è in subbuglio: la transizione ecologica verso le vetture elettriche stenta a decollare perché i consumatori sono ancora restii a cambiare così radicalmente abitudini, ricaricando la vettura alle colonnine con tempi ancora estremamente variabili rispetto alla certezza del pieno di carburante in pochi minuti. Anche le diminuzioni di prezzo delle BEV avvenute  negli ultimi mesi e le attese per il futuro frenano la voglia di acquistare un auto elettrica: dalle ricerche di mercato risulta infatti che più della metà dei consumatori sono interessati all’acquisto di un auto elettrica ma poi la realtà è che la penetrazione sulle vendite rimane in Italia ancorata al 3-4%.

Nel frattempo si è insediata la nuova Commissione europea che nonostante le oscillazioni del voto di giugno rimane simile a quella precedente, con la stessa Presidente Ursula Von der Leyen. Una delle sfide della Commissione sarà quella di rispondere alle richieste di flessibilità dei costruttori e alle tendenze di mercato, rivalutando la strategia di blocco alle vendite di auto a combustione dal 2035, strategia varata dalla stessa Presidente nella scorsa legislatura.

Ma andiamo con ordine: tutti conoscono il target del 2035 ma in realtà il problema si presenterà subito, già nel 2025. Infatti nel piano di graduale transizione verso una mobilità elettrificata la UE prevede che il prossimo anno i costruttori dovranno avere delle emissioni medie delle unità vendute pari a 94 gr CO2 x km, obiettivo che i costruttori possono raggiungere solo con un mix di vetture full electric mediamente del 20-25%.

Oggi questa percentuale è scesa al 12.5% rispetto al 15% del 2023, specie perché la Germania ha interrotto il piano di incentivi esistente. I costruttori si sono fatti due conti e hanno capito che quasi nessuno ce la farà a raggiungere quel target (Tesla che produce solo BEV e probabilmente il gruppo Geely) e hanno stimato che cumulativamente il settore dovrà pagare 15 miliardi di multe. Così l’ACEA ha richiesto uno slittamento di 2 anni di questo target anche perché, come scrive Draghi nel suo Rapporto sulla competitività della UE, la Commissione ha varato questi target di emissioni ma non ha poi elaborato un piano industriale a supporto.

Sul target del 2035 sono piovute molte critiche non tanto dai costruttori che ne hanno fatto una motivazione a mostrarsi green agli occhi della clientela anche anticipando di qualche anno la decisione di vendere solo auto elettriche (tra queste Volvo, Renault, Jaguar); quanto da una serie di politici e opinionisti che hanno colto al volo lo scetticismo del mercato e dei consumatori per chiedere la revisione dell’obiettivo

Ma quali sono i possibili cambiamenti che la Commissione UE potrebbe valutare per il 2035, a fronte di queste critiche? Sicuramente Ursula Von Der Leyen vorrà mantenere la direzione fissata verso la decarbonizzazione del settore e l’adozione di motori elettrificati; è anche vero però che un qualche elemento di flessibilità è atteso da tutti, anche dai costruttori che nel frattempo sono tornati indietro sugli obiettivi baldanzosi di essere full electric già dal 2030.

Ci potrebbe essere una flessibilità temporale, la più semplice da implementare: come è stato richiesto dall’ACEA uno slittamento di 2 anni dell’obiettivo del 2025, così ci potrebbe essere uno slittamento al 2037 o anche al 2040 dell’obiettivo di emissioni zero. Questo potrebbe consentire lo sviluppo e l’implementazione di quel piano industriale di supporto alla mobilità elettrica auspicato da Draghi.

Dal punto di vista invece delle tecnologie utilizzabili dal 2035, la decisione della UE del 2022 già prevede un elemento di flessibilità, richiesto dalla Germania, che riguarda gli e-fuel, i carburanti sintetici che vengono considerati carbon neutral perché combinano idrogeno e anidride carbonica (CO2), catturata dall’atmosfera che bilancia la CO2 emessa dalla combustione del motore. Un altro presupposto necessario per la neutralità è che l’energia provenga da fonti rinnovabili. In realtà ad oggi gli e-fuel sono estremamente costosi e solo alcuni costruttori premium (come Porsche) pensano concretamente che ci possano essere delle opportunità di utilizzarli.

Un’altra possibilità fortemente sostenuta dall’Italia, ma poi bocciata dalla UE, è quella di dare una deroga per le vetture che utilizzano bio-carburanti, prodotti dalle biomasse, catturando l’anidride carbonica dall’atmosfera attraverso la fotosintesi delle piante che viene poi riemessa nella combustione. I bio-carburanti di seconda generazione superano l’obiezione iniziale di essere potenzialmente in concorrenza con la produzione di cibo e potrebbero essere riconsiderati quantomeno per un periodo transitorio: un esempio è l’HVO di Enilive, prodotto da materie prime di scarto, come oli esausti da cucina, oli vegetali, grassi animali e residui dell’industria alimentare.

Un’alternativa potrebbe essere quella di  prevedere qualche deroga per alcuni motori ibridi, che tra l’altro in questo periodo di crisi delle vendite delle BEV stanno invece riscuotendo un certo apprezzamento da parte dei consumatori. Si potrebbe ipotizzare di porre dei limiti a questo tipo di vetture al fine di renderne il comportamento più simile a quello di vetture elettriche. Gli ibridi plug-in (PHEV) negli ultimi tempi hanno raggiunto percorrenze in elettrico intorno ai 100 km e alcuni studi (Why PHEVs are better for the climate than BEVs today. Illuminem.com agosto 2023) dimostrano che in questa fase della transizione energetica, considerando l’attuale processo di estrazione delle materie prime e l’assenza di attività di riciclo delle batterie, i PHEV hanno delle emissioni medie inferiori ai BEV.

Alcuni PHEV attraverso la geolocalizzazione spingono all’uso del solo motore elettrico nei centri urbani: questo potrebbe diventare un obbligo che da una parte costringerebbe gli utenti PHEV a ricaricare la vettura, cosa che per difficoltà o per pigrizia spesso non fanno, e darebbe altresì un contributo importante all’inquinamento nei grandi centri urbani. Ovviamente poi l’uso extra-urbano sarebbe equiparabile a quello di un motore a combustione ma in un’ottica di gradualità della transizione sarebbe comunque un passo in avanti.

Si potrebbe anche prender in considerazione gli ibridi EREV in cui la trazione è sempre elettrica ma sono dotate di un piccolo motore termico che ha lo scopo di ricaricare la batteria e, quindi, di aumentare l’autonomia senza dover adottare grandi e pesanti batterie. Si potrebbe porre dei limiti stringenti alle dimensioni del motore termico, che potrebbe essere alimentato da carburanti ecologici (bio o sintetici) tali da renderlo una soluzione di emergenza.

Si tratta di soluzioni tecniche di compromesso, probabilmente valide per un numero limitato di anni ma che potrebbero rendere più morbida e accettabile la transizione verso un mondo di soli veicoli elettrici.

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