Secondo un’inchiesta pubblicata dal New York Times, Israele aveva pianificato un attacco mirato ai siti nucleari iraniani già per il prossimo mese. Una mossa di portata storica che, secondo fonti diplomatiche e di intelligence, sarebbe stata bloccata nelle ultime settimane dall’intervento diretto del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. La decisione, definita da più osservatori come uno dei momenti di massima tensione della nuova amministrazione, conferma quanto il dossier nucleare iraniano sia tornato al centro della scena geopolitica globale. L’intento israeliano era colpire le infrastrutture ritenute strategiche per lo sviluppo dell’arsenale atomico di Teheran, ritenuto da tempo una “minaccia esistenziale” per lo Stato ebraico.
Israele pronto ad attaccare i siti nucleari iraniani, ma Trump lo blocca: “Meglio negoziare, per ora”
Il presidente americano, secondo quanto riportato da fonti dell’intelligence statunitense e israeliana, avrebbe frenato Netanyahu nel tentativo di evitare un’escalation militare nella regione. “Preferisco negoziare un accordo con Teheran per limitare il suo programma nucleare”, avrebbe detto Trump, convinto che un’intesa diplomatica possa garantire maggiore stabilità e controllo rispetto a un attacco preventivo.
Ma le sue parole sono state accompagnate anche da un monito severo: “Se però non faranno l’intesa, si metterà male per loro”. Un messaggio che mira a mantenere alta la pressione sul regime iraniano, lasciando aperta la porta al dialogo, ma anche a scenari di rottura se i colloqui dovessero fallire.
Israele spinge per l’azione, ma gli USA scelgono la via diplomatica
Israele, secondo il NYT, aveva già predisposto le forze armate per un attacco su più fronti, coinvolgendo l’aviazione e le unità di intelligence militare, in un’operazione lampo da eseguire con il sostegno logistico degli Stati Uniti. La scelta di rinviare, tuttavia, non è stata accolta senza tensioni. Una parte del governo israeliano avrebbe espresso frustrazione per il freno imposto da Washington, sostenendo che “il tempo sta per scadere” e che l’Iran è ormai vicino alla soglia nucleare. Fonti vicine al Mossad avrebbero già raccolto prove della prosecuzione dei lavori sotterranei nei siti di Fordow e Natanz, anche in violazione degli accordi precedenti. L’attesa americana rischia, secondo alcuni, di essere letta da Teheran come un segnale di debolezza.
Una crisi diplomatica in fase di stallo
La linea scelta dalla Casa Bianca punta a riaprire un canale diretto di dialogo con il governo iraniano, possibilmente sotto l’egida di mediatori europei. L’obiettivo è arrivare a un accordo-quadro simile a quello del 2015, ma con vincoli più stringenti e controlli più approfonditi da parte dell’AIEA. Tuttavia, l’Iran non sembra disposto a trattare alle condizioni imposte da Trump, e continua ad accusare gli Stati Uniti di doppiezza. Il clima negoziale resta congelato. Il segretario di Stato americano ha incontrato nei giorni scorsi rappresentanti della diplomazia saudita ed egiziana per tentare un allineamento regionale, mentre il Consiglio di Sicurezza dell’ONU è rimasto in silenzio.
Il rischio escalation resta alto nel Golfo Persico
Se da un lato Trump appare intenzionato a evitare un conflitto diretto, dall’altro non ha escluso del tutto l’opzione militare. “Stiamo lavorando per la pace, ma non saremo ingenui”, ha detto in una recente conferenza stampa. La strategia appare ispirata a un equilibrio instabile: concedere tempo alla diplomazia, ma tenere pronta la minaccia di un intervento rapido in caso di fallimento. Intanto, navi americane continuano a pattugliare il Golfo Persico, e le basi militari statunitensi nella regione sono in stato di massima allerta. Israele osserva, pronto a riprendere il piano nel caso venisse meno il sostegno di Washington. La tregua, per ora, è solo tattica. Ma l’ombra di una guerra preventiva resta sul tavolo.