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Trump infiamma il Congresso /1: Riscritte le regole dell'America, parole incendiarie

- di: Bruno Coletta
 
Trump infiamma il Congresso /1: Riscritte le regole dell'America, parole incendiarie
Nella sontuosa cornice della Camera dei Rappresentanti, tra sguardi tesi e attese febbrili, Donald Trump ha pronunciato il primo grande discorso del suo secondo mandato presidenziale. Un evento che non ha deluso le aspettative, rivelandosi un inno al nazionalismo economico, un attacco frontale alle politiche democratiche e un monito alla comunità internazionale: l’America torna a essere una fortezza, sotto il segno del “Make America Great Again”.

Analisi storica e confronti con i suoi precedenti discorsi
Il discorso di Trump al Congresso del 2025 segna una continuità rispetto alla sua retorica del primo mandato, ma con alcune sfumature nuove. Se nel 2017 il suo primo discorso all’Unione enfatizzava la crescita economica e l’abolizione delle politiche di Obama, e nel 2020 il focus era sulla “grande America che rinasceva”, il tono di questo intervento è apparso più marcatamente aggressivo e sfidante verso l’opposizione e gli alleati internazionali. Rispetto ai suoi predecessori, Trump si distacca nettamente dai toni concilianti di un Ronald Reagan post-Guerra Fredda o di un George W. Bush dopo l’11 settembre. Questo discorso si avvicina più a quelli di Nixon nel periodo dell’impeachment: un messaggio di sfida rivolto ai suoi oppositori.

Durata del discorso
Il discorso di Trump è durato un’ora e 27 minuti, uno dei più lunghi mai pronunciati da un presidente degli Stati Uniti davanti al Congresso, superando il suo precedente record di un’ora e 25 minuti del 2020.

L’America prima di tutto: economia e protezionismo
Sin dalle prime battute, Trump ha martellato il messaggio chiave della sua amministrazione: la protezione dell’economia americana. Ha annunciato un pacchetto di dazi sulle importazioni dalla Cina e dall’Europa, una mossa che, secondo il presidente, restituirà “potere e prosperità” ai lavoratori americani. “Basta farci derubare. Da oggi, chi vuole fare affari con l’America, rispetterà le nostre regole”, ha dichiarato con il pugno stretto.
Non solo protezionismo: il presidente ha rivendicato la crescita dell’occupazione, attribuendone il merito alla sua politica fiscale, con tagli alle tasse per le imprese e incentivi alla produzione nazionale. “Abbiamo creato milioni di posti di lavoro e ne creeremo ancora. La sinistra vuole fermare il nostro successo, ma non glielo permetteremo”, ha tuonato.
Trump ha poi evidenziato i successi della Borsa, sostenendo che gli investitori americani stiano vivendo un’era di “rinascita finanziaria”. Ha promesso ulteriori tagli alle regolamentazioni per le imprese, definendole “catene burocratiche” imposte dalle amministrazioni precedenti.

Immigrazione: un muro ancora più alto
Il capitolo immigrazione è stato tra i più incendiari. Trump ha promesso di completare l’espansione del muro al confine con il Messico e di implementare nuove misure per rendere più difficile l’ingresso di migranti irregolari. “Ogni giorno, criminali attraversano il nostro confine. Questo finirà. La nostra sicurezza viene prima di tutto”, ha dichiarato tra gli applausi dei repubblicani e i mormorii di dissenso dell’opposizione.
In un passaggio che ha suscitato polemiche immediate, il presidente ha definito la crisi migratoria “una minaccia esistenziale” per l’America, rilanciando il concetto di “deportazioni di massa” per chiunque sia entrato illegalmente nel paese. Ha inoltre minacciato di tagliare i fondi federali alle città che si rifiutano di cooperare con l’immigrazione.

Politica estera: “L’America non pagherà più per gli altri”
Con toni decisi, Trump ha annunciato un ritiro progressivo del sostegno militare all’Ucraina, definendo gli aiuti un fardello per i contribuenti americani”. Ha poi lanciato un ultimatum agli alleati della NATO: “O pagate la vostra parte, o l’America si prenderà cura solo di sé stessa”. Un messaggio che ha fatto tremare le capitali europee.
Il presidente ha poi riservato parole di fuoco alla Cina, accusandola di “barare sul commercio, rubare tecnologia e minacciare la nostra sicurezza”. Ha promesso nuove sanzioni e ha annunciato l’espulsione di aziende cinesi accusate di spionaggio.
Sulla Russia, invece, Trump ha mantenuto un tono ambiguo. Se da un lato ha confermato l’impegno degli Stati Uniti nella deterrenza nucleare, dall’altro ha evitato di criticare direttamente il presidente Vladimir Putin, suscitando speculazioni sulle future relazioni tra i due leader.

I passaggi su Groenlandia (“Ce la prenderemo o in un modo o nell’altro”) e Panama
Trump ha sorpreso molti con un accenno alla Groenlandia, riproponendo l’idea – già avanzata nel suo primo mandato – di acquisire il territorio danese per motivi strategici ed economici e scandendo: “Ce la riprenderemo in un modo o nell’altro”. “Abbiamo bisogno di espandere la nostra influenza nell’Artico, ed è nell’interesse della sicurezza nazionale americana”, ha dichiarato. La Danimarca ha già respinto in passato una simile proposta, e le reazioni da Copenaghen non si sono fatte attendere, con il ministro degli Esteri che ha definito l’idea “assurda e offensiva”.
Su Panama, il presidente ha attaccato la gestione del Canale di Panama, sostenendo che “gli Stati Uniti non avrebbero mai dovuto cedere il controllo di un’infrastruttura così strategica”. Non ha specificato quali azioni intenda intraprendere, ma alcuni analisti temono una revisione degli accordi con il governo panamense.

Il riferimento alla cultura woke
Uno dei passaggi più applauditi dai repubblicani è stato l’attacco alla “cultura woke”. Trump ha promesso di fermare quella che ha definito “un’ideologia distruttiva che vuole riscrivere la nostra storia e indebolire i nostri valori”. Ha annunciato un piano per limitare i finanziamenti federali alle università che promuovono “teorie radicali di genere e razza, un’iniziativa che potrebbe accendere un nuovo scontro tra governo federale e stati progressisti.

Uno show senza precedenti: tensione e proteste in aula
Il discorso non è stato privo di momenti di tensione. Almeno una decina di deputati democratici ha abbandonato l’aula in segno di protesta. Il rappresentante democratico Al Green è stato scortato fuori dopo aver interrotto il discorso, urlando “Basta con le bugie!”.
I democratici hanno reagito con freddezza, con la presidente della Camera che, visibilmente contrariata, ha definito l’intervento “un manifesto elettorale carico di falsità”.
Anche fuori dal Congresso, la protesta non si è fatta attendere. Migliaia di manifestanti si sono radunati davanti al Campidoglio, scandendo slogan contro la retorica del presidente. Alcuni episodi di tensione con le forze dell’ordine hanno richiesto l’intervento della polizia.

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