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2025, pianeta surriscaldato: verso un record storico di caldo globale

- di: Bruno Legni
 
2025, pianeta surriscaldato: verso un record storico di caldo globale
2025, il pianeta surriscaldato: verso un record storico di caldo globale
La media 2023-2025 si avvicina e supera la soglia simbolo di +1,5 °C: il mondo entra nella zona di rischio climatico permanente.

Il 2025 sta consolidando la sua fama di anno rovente. Secondo le elaborazioni del servizio europeo Copernicus per il cambiamento climatico (C3S), gestito dal Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine per conto della Commissione Ue, è destinato a collocarsi tra i primissimi posti nella classifica degli anni più caldi mai osservati dall’epoca preindustriale.

Gli scienziati indicano che il 2025 sarà con ogni probabilità il secondo anno più caldo mai registrato, affiancando il 2023 e appena dietro il 2024, in una sequenza impressionante di record che racconta un pianeta in surriscaldamento accelerato.

Numeri che parlano chiaro: il salto di temperatura

La temperatura media globale di novembre 2025 è stata di circa 14,02 °C, cioè 0,65 °C sopra la media del trentennio 1991-2020 e circa 1,54 °C sopra i livelli dell’epoca preindustriale (1850-1900). Su scala annuale, la media 2025 da gennaio a novembre si attesta ormai vicino a +1,5 °C rispetto al passato preindustriale.

In altre parole, ciò che fino a pochi anni fa veniva descritto come un limite da non superare sta diventando, di fatto, la nuova normalità climatica. Non si tratta di un picco isolato, ma di un livello che si mantiene su valori eccezionalmente elevati per mesi consecutivi.

La media triennale 2023-2025 oltre la soglia di 1,5 °C

Ancora più significativo è il dato sulla media triennale: combinando i valori di 2023, 2024 e 2025, Copernicus stima che il riscaldamento medio nei tre anni sia destinato a superare per la prima volta la soglia di +1,5 °C rispetto all’epoca preindustriale.

È un passaggio simbolico e allo stesso tempo molto concreto. Non equivale al superamento definitivo dell’obiettivo dell’Accordo di Parigi, che è definito su medie pluridecennali, ma rappresenta un campanello d’allarme fortissimo: il clima globale sta orbitando stabilmente attorno a un livello di riscaldamento che finora veniva collocato nella fascia “da evitare a tutti i costi”.

Come ricordano gli esperti, più a lungo restiamo sopra +1,5 °C, più probabile diventa l’innesco di impatti gravi e a cascata: aumento degli eventi estremi, stress sugli ecosistemi, instabilità idrogeologica, crisi idriche e alimentari.

Un pianeta sotto stress: dai poli ai tropici

Il riscaldamento non è uniforme, ma in molte regioni del mondo le anomalie sono ancora più marcate. A novembre 2025 le temperature sono state nettamente superiori alla media in vaste aree del Canada settentrionale e dell’Oceano Artico, territori che già sperimentano la cosiddetta “amplificazione artica”, ovvero un riscaldamento più rapido rispetto alla media globale.

L’estensione del ghiaccio marino artico risulta ridotta di circa il 12% rispetto ai valori medi di novembre, uno dei livelli più bassi mai registrati per questo mese. Neppure l’Antartide gode di buona salute: anche qui il ghiaccio marino si colloca nettamente sotto la media, con una perdita stimata attorno al 7%, tra i valori più ridotti in assoluto per il periodo.

Gli oceani assorbono oltre il 90% del calore in eccesso del sistema climatico. Il risultato è un mare sempre più caldo, con ondate di calore marine che colpiscono barriere coralline, catene alimentari e pescosità, mettendo in crisi interi settori economici e comunità costiere.

Meteo estremo in serie: alluvioni, cicloni, siccità

Il 2025 è costellato da episodi di meteo estremo che richiamano, in modo tragico, il legame tra aumento della temperatura media e intensificazione di fenomeni violenti. Nel corso dell’anno si sono registrati cicloni devastanti nel Sud-Est asiatico, con piogge torrenziali e inondazioni catastrofiche che hanno provocato oltre un migliaio di vittime e lasciato dietro di sé distruzione diffusa.

In Europa, il quadro è meno spettacolare ma non meno indicativo: novembre 2025 risulta fra i mesi di novembre più caldi mai misurati nel continente, con circa +1,4 °C rispetto alla media recente. L’intero autunno 2025 si piazza tra i più miti di sempre.

Le precipitazioni mostrano un mosaico disomogeneo: più piogge del normale in Europa occidentale e nei Balcani, condizioni più secche in Italia settentrionale e su parte del Mediterraneo. Piogge concentrate in pochi eventi molto intensi, periodi secchi prolungati e sbalzi di temperatura sempre più bruschi rendono la gestione del territorio e delle infrastrutture molto più complessa.

La voce degli esperti: “Ridurre le emissioni, subito”

Di fronte a questi dati, il messaggio della comunità scientifica è netto. Responsabili e ricercatori di Copernicus e delle principali istituzioni climatiche ribadiscono che l’unico modo per frenare l’escalation è tagliare rapidamente e in profondità le emissioni di gas serra: anidride carbonica, metano, protossido di azoto.

Non basta rallentare la crescita delle emissioni: serve una discesa strutturale, che passi per la decarbonizzazione della produzione di energia, l’abbandono dei combustibili fossili, l’efficienza energetica, l’elettrificazione dei consumi e la protezione delle foreste. Ogni anno perso rende più difficile rientrare su una traiettoria compatibile con gli obiettivi di Parigi.

Gli esperti ricordano che il clima non risponde subito come un interruttore: anche riducendo le emissioni, serve tempo perché il sistema Terra si riassesti. Proprio per questo, ogni decimo di grado evitato conta, così come ogni tonnellata di CO₂ che non finisce in atmosfera.

Cosa c’è in gioco: scenari per il futuro

Superare in modo ricorrente la soglia di +1,5 °C significa esporsi a una lunga serie di rischi: ondate di calore più frequenti e letali, alluvioni più probabili, innalzamento del livello del mare che erode coste e minaccia città e infrastrutture, perdita di biodiversità e aggravamento delle disuguaglianze sociali e geografiche.

Le regioni e le comunità meno responsabili delle emissioni storiche sono spesso quelle più vulnerabili. Paesi insulari, aree costiere basse, regioni già colpite da siccità cronica rischiano di pagare il prezzo più alto del ritardo globale nella lotta al riscaldamento.

In sintesi: i dati del 2025 non sono un semplice record da statistiche meteorologiche, ma l’ennesima conferma che il pianeta sta entrando in una fase climatica nuova. Il margine per evitare gli scenari peggiori non è ancora svanito, ma si sta restringendo velocemente. La scelta è tra agire ora con decisione oppure subire, domani, cambiamenti molto più difficili — e costosi — da gestire. 

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