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Cacciari, Bibbia e scuole: chi insegna davvero i Vangeli?

- di: Bruno Coletta
 
Cacciari, Bibbia e scuole: chi insegna davvero i Vangeli?
Cacciari, Bibbia e scuole: chi insegna davvero i Vangeli?
Dagli universitari convinti che Gesù abbia scritto i Vangeli alla proposta di un biblista laico alle medie: dentro la miccia accesa da Massimo Cacciari e la battaglia su ora di religione, Concordato e analfabetismo biblico.

L’affondo di Cacciari in tv: «Ignoranze spaventose»

Tutto parte da uno sfogo televisivo. Ospite di «Rebus» su Rai 3, andato in onda nei primi giorni di dicembre, il filosofo ed ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari racconta di studenti universitari convinti che Gesù sia l’autore dei Vangeli e parla senza giri di parole di «ignoranze spaventose» sulla Bibbia e sulla tradizione cristiana.

Da qui la diagnosi tagliente: la scuola italiana produce, sul terreno religioso e biblico, un misto di devota ignoranza e cultura superficiale, quello che il filosofo definisce polemicamente «culturame», «la cosa peggiore del mondo» perché somma luoghi comuni, moralismi e slogan al posto di un serio lavoro critico sui testi.

Il cuore del suo ragionamento è semplice e perentorio: non si può capire niente della cultura europea – arte, letteratura, filosofia, diritto – se non si è in grado di leggere la Bibbia come si leggerebbe Omero o Dante, cioè con strumenti storici e filologici, non come un vago fondale religioso.

La proposta: un’ora di esegesi biblica con un esperto laico

Da questo giudizio discende la proposta: un’ora settimanale alle scuole medie dedicata a un «esperto biblista», incaricato di accompagnare i ragazzi nella lettura critica dei testi sacri.

L’idea, nelle parole di Cacciari, è quella di un percorso che metta in luce:

  • che i libri della Bibbia sono molto diversi tra loro per genere, lingua, contesto storico;
  • che i testi mostrano contraddizioni apparenti da interpretare, non da nascondere;
  • che il Nuovo Testamento non è un blocco unico, ma una pluralità di sguardi su Gesù e sulle prime comunità cristiane;
  • che la Bibbia è stata una miniera inesauribile di immagini e simboli per l’arte e la letteratura europee.

L’obiettivo dichiarato non è «evangelizzare» ma alfabetizzare culturalmente: fornire ai ragazzi il minimo sindacale di strumenti per capire affreschi, romanzi, opere musicali e dibattiti etici che, senza una base biblica, restano per loro quasi incomprensibili.

Il nodo Concordato: perché per Cacciari il sistema blocca la svolta laica

Il passaggio più politico dell’intervento riguarda il Concordato tra Stato e Chiesa. Cacciari sostiene che l’attuale impianto concordatario impedisca di fatto un insegnamento veramente scientifico della Bibbia all’interno delle scuole pubbliche, soprattutto nella secondaria.

L’Accordo di revisione del Concordato, firmato nel 1984 e reso esecutivo dalla legge 121 del 25 marzo 1985, prevede infatti che lo Stato «continuerà ad assicurare» l’insegnamento della religione cattolica (IRC) nelle scuole pubbliche, riconoscendo il valore della cultura religiosa e il peso storico del cattolicesimo nel Paese. Nel protocollo addizionale, all’articolo che dettaglia l’IRC, è scritto che tale insegnamento deve essere impartito «in conformità alla dottrina della Chiesa» da docenti riconosciuti idonei dall’autorità ecclesiastica e nominati d’intesa con quella scolastica.

Non è un dettaglio tecnico: significa che programmi, libri di testo, profilo dei docenti vengono definiti in base a un’intesa bilaterale tra Stato e Conferenza episcopale, non da una libera comunità accademica o da un concorso pubblico come per le altre discipline. Proprio questo, secondo Cacciari, rende molto difficile un approccio completamente laico e comparativo alla Bibbia dentro l’ora di religione.

Che cosa prevede davvero la normativa su IRC

Al di là delle semplificazioni, il quadro normativo è piuttosto articolato. Dopo il Concordato, due decreti del Presidente della Repubblica del 20 agosto 2012 – i DPR 175 e 176 – hanno dato esecuzione alle nuove intese tra Ministero dell’Istruzione e CEI, definendo:

  • le indicazioni didattiche per l’IRC in tutti gli ordini di scuola;
  • le modalità organizzative dell’insegnamento (collocazione oraria, partecipazione agli scrutini, ecc.);
  • i titoli accademici ecclesiastici richiesti per insegnare religione cattolica;
  • il diritto degli studenti di avvalersi o non avvalersi dell’IRC al momento dell’iscrizione.

Sul piano giuridico, dunque, lo Stato rivendica che l’IRC non sia «catechismo» ma una disciplina scolastica inquadrata nelle finalità generali della scuola. Ma la radice concordataria resta: i docenti sono formati e “idoneati” in ambito ecclesiastico, e l’insegnamento rimane esplicitamente legato alla dottrina cattolica.

Lo scontro sul «biblista»: sindacato e commentatori in campo

Le parole di Cacciari non restano senza risposta. Nel giro di poche ore interviene lo Snadir, il sindacato degli insegnanti di religione cattolica, e lo fa con toni altrettanto netti.

In un comunicato diffuso il 9 dicembre 2025, lo Snadir chiede provocatoriamente: «Perché inventare l’ennesimo esperto se la scuola italiana ha già docenti formati esattamente per questo?». Il sindacato ricorda che, secondo le Indicazioni nazionali, l’IRC non è più da anni un catechismo mascherato, ma un insegnamento disciplinare che comprende analisi storica, letteraria ed esegetica della Bibbia.

Secondo questa lettura, i docenti di religione sono già oggi tenuti – e preparati – a:

  • contestualizzare i testi biblici sul piano storico e culturale;
  • favorire il dialogo critico in classe, non l’adesione acritica alla fede;
  • collegare testo sacro, arte, letteratura, filosofia e problemi contemporanei;
  • sviluppare competenze di convivenza civile, pace, giustizia.

Per questo lo Snadir capovolge la proposta del filosofo: invece di un biblista aggiuntivo, chiede di rendere obbligatoria l’ora di religione nella secondaria e portarla da una a due ore, presentando la misura come esigenza culturale e non confessionale.

Sul fronte opposto si collocano altre voci del mondo scolastico e dell’opinione pubblica. Un commento pubblicato il 10 dicembre 2025 sulla rivista specializzata «Tecnica della Scuola» appoggia la linea di Cacciari: la Bibbia va studiata, sì, ma da esperti laici, non da docenti che rispondono all’autorità ecclesiastica. L’autore insiste sulla necessità di un punto di vista aconfessionale e scientifico, capace di mettere in dialogo Bibbia, storia del diritto, codici penali, letteratura moderna e storia dell’arte.

Gli studenti e la Bibbia: i dati che inquietano

Sullo sfondo, la domanda decisiva è: Cacciari esagera? Le ricerche disponibili dicono che no, il problema dell’ignoranza biblica non è una invenzione televisiva.

Un Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia curato dalla Fondazione per le Scienze Religiose “Giovanni XXIII” e pubblicato nel 2014 mostra dati impressionanti: secondo l’indagine, un italiano su quattro (26,4%) pensa che l’autore della Bibbia sia Mosè, mentre un altro 20,4% indica Gesù. Solo poco più della metà del campione individua correttamente la complessità degli autori biblici. Il curatore del volume, lo storico Alberto Melloni, parla di «ignoranza totale della Bibbia» e di una vera e propria produzione di idee fantasiose attorno ai contenuti della fede.

Un’altra ricerca, il rapporto «Il Vangelo secondo gli italiani» realizzato dal Censis in collaborazione con l’editore Utet e diffuso nel 2016, fotografa un Paese dove circa l’80% della popolazione non ha dimestichezza con i Vangeli: il 37% non sa citare né il numero né i nomi degli evangelisti, e la maggioranza non apre mai il testo che pure dichiara di avere in casa.

Se si incrociano questi dati con le rilevazioni più recenti sulla pratica religiosa – in calo soprattutto tra i giovani tra 18 e 34 anni, dove la quota di cattolici praticanti si ferma attorno al 10% – emerge un quadro coerente con la fotografia graffiante di Cacciari: una società che si dichiara ancora culturalmente cristiana, ma conosce pochissimo i testi da cui dice di provenire.

Ora di religione tra calo di adesioni e nuovo pluralismo

Dentro questo scenario, anche l’ora di religione cattolica vive una stagione di trasformazione. Le analisi del mondo scolastico indicano da anni un progressivo calo delle adesioni, soprattutto nella scuola superiore, dove una quota crescente di studenti sceglie di non avvalersi dell’IRC o di optare per attività alternative.

I vescovi italiani, attraverso documenti e dichiarazioni, hanno risposto rilanciando sull’importanza dell’insegnamento, presentandolo come luogo privilegiato di dialogo interculturale e interreligioso in una società sempre più plurale. I critici, invece, insistono sul fatto che un’ora di religione a gestione concordataria fatichi a coprire l’intero spettro delle religioni presenti oggi in Italia e rischi di rimanere sbilanciata sul cattolicesimo, nonostante gli sforzi di aggiornamento dei programmi.

È precisamente su questo bivio che si colloca la proposta di Cacciari: non abolire l’IRC, ma affiancarle un insegnamento biblico rigoroso, di taglio storico-critico, che parli a tutti gli studenti, credenti e non, come si parlerebbe di Platone o di Shakespeare.

Al centro il rapporto tra scuola pubblica e religione

In filigrana, la polemica sul «biblista alle medie» riapre una questione che attraversa la storia repubblicana: come si insegna la religione in una scuola pubblica laica, in un Paese dove una tradizione religiosa – il cattolicesimo – ha un peso storico preponderante?

Le opzioni in campo, semplificando, sono almeno tre:

  1. Mantenere lo status quo, puntando su una progressiva evoluzione interna dell’IRC: più comparazione con altre fedi, più attenzione agli aspetti storici e culturali, pur nel quadro concordatario.
  2. Rafforzare l’IRC in chiave culturale, come chiede una parte del mondo ecclesiale e sindacale, rendendolo obbligatorio e moltiplicando le ore, con la promessa di un approccio sempre meno catechistico e sempre più critico.
  3. Separare nettamente catechesi e cultura religiosa, imboccando la strada auspicata da Cacciari e da molti studiosi: l’IRC resterebbe un insegnamento opzionale a forte connotazione identitaria, mentre lo studio storico-critico della Bibbia e delle religioni entrerebbe tra le discipline curricolari, gestite con criteri analoghi a quelli di storia e filosofia.

Qualunque strada si scelga, una cosa appare difficilmente contestabile: il problema dell’analfabetismo religioso esiste, è documentato da ricerche e sondaggi, e ha ricadute dirette sulla capacità dei giovani di orientarsi tra simboli, conflitti e discorsi pubblici dove la religione continua a essere chiamata in causa.

Una riforma possibile? Tre nodi da sciogliere

Se il dibattito innescato da Cacciari dovesse tradursi in una proposta politica concreta, sul tavolo arriverebbero almeno tre nodi delicatissimi.

Primo nodo: il Concordato. Per trasformare radicalmente l’insegnamento religioso nella scuola pubblica non basta una legge ordinaria: bisognerebbe mettere mano agli accordi con la Santa Sede, che oggi garantiscono alla Chiesa cattolica un ruolo determinante nella definizione di programmi e docenti dell’IRC.

Secondo nodo: il profilo dei docenti. La figura del «biblista laico» invocata da Cacciari apre il problema di nuove classi di concorso, percorsi universitari specifici, concorsi pubblici dedicati. Chi dovrebbe formare questi insegnanti? Facoltà di teologia statali? Corsi interateneo di storia delle religioni e scienze bibliche? E come coordinare questi profili con gli attuali docenti di religione?

Terzo nodo: il pluralismo religioso. Parlare di Bibbia in una classe dove siedono studenti cattolici, atei, musulmani, ortodossi, evangelici, agnostici significa ripensare radicalmente i metodi didattici. Non basterà cambiare il titolo dell’ora: servirà formare docenti capaci di mantenere un rigoroso equilibrio tra rispetto delle coscienze e libertà di ricerca.

Oltre la polemica: perché il tema non è solo «di Chiesa»

In fondo, la provocazione di Cacciari colpisce nel segno proprio perché non riguarda solo credenti e praticanti. Il punto è più ampio: una democrazia complessa ha bisogno di cittadini alfabetizzati anche sul piano religioso, altrimenti rischia di lasciare spazio a fanatismi, complotti, semplificazioni violente.

Sapere che i Vangeli sono quattro e non scritti da Gesù, che la Bibbia contiene linguaggi diversi, che le religioni hanno avuto un ruolo ambivalente – di oppressione e di liberazione – non è un di più per specialisti: è parte del bagaglio minimo per muoversi nel mondo contemporaneo.

Su questo terreno, al netto di simpatia o antipatia per il personaggio, il merito di Cacciari è di avere trasformato una questione tecnicamente complessa – Concordato, intese, DPR, titoli accademici – in una domanda brutale e immediata: che cosa sanno davvero i nostri studenti della Bibbia? Finché nessuno risponderà con dati, progetti e riforme, quella domanda resterà lì, scomoda, al centro del dibattito pubblico.

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