Politica: il canone inverso di Salvini

- di: Diego Minuti
 
Se non si trattasse di Matteo Salvini, si potrebbe pensare che quanto il leader della Lega sta facendo nei confronti del governo e di chi lo guida sia la componente di una condizione che, in psichiatria, si chiama personalità multipla (o, per essere più corretti, disturbo dissociativo dell'identità) dal momento che assume posizioni talmente divergenti che sembrerebbero prese da più soggetti, anziché da un solo.

Ma Salvini è quello che è, un uomo politico che persegue con ferocia i suoi obiettivi e che, per raggiungerli, rischia sempre. Nelle ultime giornate della nostra politica nazionale è lui, il ''capitano'', ad avere calamitato ogni attenzione, riuscendo a marginalizzare altre importanti prese di posizione, ma che, a confronto di quelle che prende lui, sembrano di poco o nessun interesse generale.
Prendiamo solo le ultime due che sono talmente distanti l'una dall'altra da fare temere, seriamente, per l'equilibrio dell'uomo. Che, da un lato, annuncia di sostenere l'ennesimo referendum di iniziativa popolare dei radicali in materia di riforma della giustizia, dall'altro elogia Mario Draghi al punto di farsi promotore di una campagna di opinione per spianargli la strada verso il Quirinale.

Ora: se le due cose non venissero dalla stessa persona non ci sarebbero grandi problemi. La successione a Sergio Mattarella è argomento di interesse nazionale ormai da mesi, avvicinandosi sia il semestre bianco, che la data di scadenza del mandato presidenziale. E il formarsi di schieramenti di supporters a sostegno di questo o quello è cosa normale. Ma se tu dici di volere Draghi al Quirinale e poi sostieni un referendum su una materia delicata come la Giustizia e che certo non agevola l'azione dell'esecutivo guidato dallo stesso Draghi, allora c'è da chiedere come le due mosse possano inquadrarsi in una medesima strategia. Che invece c'è e che probabilmente si appaleserà tra qualche tempo quando si cominceranno a tirare le somme dell'esperienza di questo governo e di quanto i partiti che lo sostengono ci abbiano perso o guadagnato nel sostenerlo. È abbastanza chiaro che Salvini in questo momento ha un solo avversario e non è certo Enrico Letta, dal momento che giocano su tavoli diversi e, quindi, con elettorati di riferimento molto distanti. Il suo vero avversario è Giorgia Meloni che, unica vera opposizione al governo, sta continuando a conquistare consensi, anche se per forza di cose la marcia trionfale verso la leadership del centrodestra sembra fisiologicamente dovere rallentare.

Baci, abbracci e pacche sulle spalle sono ormai un ricordo, anche se tutto potrebbe tornare in gioco nel caso di una rottura anticipata e quindi traumatica del cammino di Draghi, sia essa per implosione dell'esecutivo o più semplicemente perché più d'uno ne auspica la salita - per restarci - nel palazzo che domina il colle più alto di Roma. Nella testa a tesa per cingersi della corona di guida del centrodestra è Giorgia Meloni a essere partita dietro, non tanto perché Fratelli d'Italia era poca cosa, in termini di consensi, davanti alla Lega, quanto perché lei, a differenza di Salvini, corre praticamente da sola non avendo accanto personalità di spessore che la supportino come frontwoman. Anche perché, sino a quando non sarà riuscita a crearsi uno zoccolo ideologicamente e politicamente duro, su di lei faranno ombra compagni di partito che calpestano il palco della politica da moltissimi anni e, quindi, non possono essere ''spesi'' mediaticamente come il nuovo del partito. Problema che forse non ha Salvini, che però vede crescere il consenso su suoi colleghi di partito che, sebbene sulla breccia da tempo, oggi raccolgono consensi e, in un partito quasi personale come la Lega, questo è un problema che prima o poi il suo segretario dovrà risolvere. In un modo o nell'altro.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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