Governo: tra l'obbligo di andare avanti e una lunga agonia

- di: Diego Minuti
 
La misura di quanto Mario Draghi cominci a vedere difficile da portare a termine a missione che gli è stata affidata dal ''Mattarella-Prima edizione'' non sono stati i toni alti che ha usato con i capidelegazione, quanto che, per esprimere il suo sconcerto nei confronti dei partiti che lo sostengono ancora, abbia anticipato il rientro da Bruxelles, lasciando il vertice dei capi di Stato.
Oggi è impossibile intuire quali saranno gli sviluppi dello sfogo del presidente del Consiglio, ma è invece facile capire che i mesi che ci separano dalle elezioni politiche saranno per il governo una lenta agonia politica che farà solo il male del Paese.

I mesi che ci separano dalle elezioni politiche saranno per il governo un'agonia politica

Il governo di Mario Draghi, motivato dalla necessità di salvare l'Italia e, soprattutto, per gestire al meglio i fondi europei, è nato portandosi dietro le contraddizioni di avere dentro la quasi totalità dei partiti, che però non si sentono legati dai vincoli di una normale coalizione. E' come se si sentisse echeggiare, ad ogni istante della vita del governo, che ''siamo insieme, ma per forza''. Perché non c'erano alternative, perché altrimenti non si poteva fare, visto l'enorme rischio di disintegrazione, economica e sociale, che la crisi pandemica faceva gravare su di noi.

Non è la prima volta che, da queste colonne, sosteniamo la debolezza di un esecutivo (questo, ma anche tutti gli altri nati sugli stessi presupposti) sorto perché senza alternative e senza alcun punto di convergenza politica. Però se i leader dicono e ribadiscono la lealtà all'esecutivo e poi, non appena usciti dai vertici, riprendono ad andare per la loro strada, non c'è nulla che tenga, perché nulla tiene uniti.

Nemmeno il fatto che l'Europa, mai come in questi frangenti, è più matrigna che madre e quando comincerà a tirare fuori il denaro dalla borsa non lo farà perché siamo belli e simpatici, ma solo se sapremo dare le garanzie che pretende in termini di correttezza della spesa; di limpida finalizzazione dei fondi; di blindatura da qualsivoglia tentativo da parte di criminali o imprenditori avidi e disonesti di mettere le mani su miliardi di euro.

Purtroppo per Mario Draghi (e per l'Italia) le elezioni sono vicine, cosa che giustifica nella testa di qualcuno il clima di perenne campagna elettorale, al limite della guerriglia politica, che è stato imposto alla vita politica del Paese. E quando si fa una cosa oggi pensando a come possa essere capitalizzata in termini di voto domani, ogni comportamento assume profili diversi da quelli dell'interesse generale.

Prendiamo i temi della giustizia, sui quali, dopo un lungo, estenuante e non sempre coerente cammino, la maggioranza ha raggiunto l'unanimità, per essere subito smentita da parte di chi (la Lega) ha appoggiato i referendum su questa materia, festeggiando rumorosamente il via libera della Consulta. Qui è un problema di coerenza, ma soprattutto di furbizia e di utilitarismo, perché se la Giustizia, nel format proposto dal guardasigilli, Marta Cartabia, non ti piace, non lo voti o ti allontani all'atto della votazione. Ma non puoi dire di sì ad una cosa che, fuori da palazzo Chigi, cerchi di demolire.

Quello della Giustizia, però, è purtroppo solo un caso in cui si può cogliere la rappresentazione plastica di come sia dilaniata una coalizione che non sarebbe nata senza la spinta del presidente Mattarella. Può il Paese reggere all'infinito questo clima, in cui due dei partiti della coalizione votano un emendamento proposto dall'opposizione, mettendo sotto il governo?
In un Paese normale no, ma l'Italia è diversa. Ma, mai come in questo caso, non è certo cosa di cui vantarsi.
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