Reddito di cittadinanza: idea giusta, attuazione sbagliata

- di: Diego Minuti
 
Ancora pochi giorni e i Cinque Stelle potranno celebrare il terzo anniversario di una svolta ai loro occhi epocale, che porta l'inequivocabile impronta del movimento, il Reddito di cittadinanza. È ancora bene impressa nella memoria di tanti (dei grillini soprattutto) l'immagine dell' establishment a Cinque Stelle, guidato da un Luigi Di Maio in versione frontman di un complesso rock, che, affacciandosi dal balcone principale di Palazzo Chigi - offendendone la sacralità, ma questo è un altro discorso -, annunciarono al mondo intero di avere sconfitto la povertà. Oggi, a distanza di tre anni, del Reddito di cittadinanza si torna a parlare con l'evidente finalità di correggerlo laddove ha sbagliato, perché tanto ha sbagliato.

Ma, come sempre, il padre e la madre di un atto controverso non accettano che di esso si discuta, ritenendo che il fatto stesso di parlarne sia sbagliato o offensivo.
Ma mai come in questo caso bisogna parlarne perché il RdC è stata una riforma imperfetta, uno strumento dalla lodevole finalità (porgere una mano a chi è in evidente difficoltà economica), ma che alla prova dei fatti si è dimostrato un sussidio erogato senza nulla chiedere in cambio e con una articolazione che ha agevolato i disonesti. Cosa che, bene inteso, molti Stati fanno, dando alle famiglie meno abbienti strumenti economici per andare avanti. Ma, con il RdC, il discorso originario è stato diverso perché presupponeva di dare dei soldi come misura transitoria prima di fare transitare i percettori verso un lavoro reperito dallo Stato. Quindi non un sussidio, ma un ''traghetto'' per portare il disoccupato dentro una condizione di lavoratore prima negatagli.

I fatti hanno smentito le previsioni rosee dei Cinque Stelle che, nemmeno oggi, davanti all'obiettivo fallimento del RdC come strumento di avvio al lavoro, ammettono di avere commesso degli errori, che in quanto tali si potrebbero anche correggere, se solo si facesse pubblica ammenda di non averne predisposto al meglio gli strumenti attuativi per la fretta di presentarsi al Paese come i salvatori della patria. È anche sin troppo facile dire oggi che il Reddito di Cittadinanza ha fallito, così come è innegabile che abbia svolto una funzione calmieratrice di possibili tensioni sociali dal momento che ha distribuito denaro indiscriminatamente ed a pioggia, senza che questo meccanismo venisse dotato di strumenti di controllo che tutelassero innanzitutto chi non lo percepisce.

Vogliamo dire che il contributo è finito non sempre nelle tasche di chi aveva bisogno, ma di chi ha avuto la possibilità di esibire una certificazione che è stata accettata senza potere effettuare su di essa i normali controlli. È stata quindi autorizzata una ''grande abbuffata'' da cui sono stati esclusi spesso coloro che ne avevano veramente diritto a tutto vantaggio di altri soggetti che hanno aggirato i controlli, mettendo in moto una serie di irregolarità difficili da elencare. Basti solo pensare al mercato di tessere del RdC che passavano di mano, perdendo via via pezzi del valore, per monetizzarne quanto più possibile della somma destinata dallo Stato alla sopravvivenza e finita invece per acquistare beni non necessari. Insomma, il Reddito è diventato per i suoi fruitori quasi una forma di convincimento a non fare nulla, ad aspettare la ricarica della tessera senza nemmeno pensare di trovarsi un lavoro tra i pochi che gli vengono proposti.

Tacendo, inoltre, del fatto che lo Stato s'è fatto carico di formare i formatori (i navigator, figure ormai mitologiche), in sostanza creando un'altra categoria di beneficiari di un contributo economico pubblico.
Ma il tempo del Reddito di cittadinanza, per come era stato pensato, deve considerarsi finito perché, se ha raggiunto il suo obiettivo primario, di erogare denaro pubblico a chi ne ha bisogno, ha fallito in quello di essere collettore di nuove opportunità di lavoro. Da qui le critiche della destra che ha buon gioco nel trovare difetti in una misura che, per come è stata realizzata (non considerandone le motivazioni), era soltanto populista, nel senso più becero del termine. I Cinque Stelle invece di prendere atto che occorrono dei correttivi (lo ha detto la stessa Ocse appena poche ore fa) prende le critiche come attacchi ideologici, giungendo a fare dire a Giuseppe Conte che è quasi immorale che contro il RdC si scaglino persone che sono privilegiate in termini economici (i politici), quasi che criticare uno strumento sbagliato sia consentito solo ai poveracci.

Se si avesse veramente a cuore le forti del Paese occorrerebbe trovare una sintesi tra il dovere di uno Stato di aiutare chi non ce la fa e l'esigenza che questa incombenza non diventi uno strumento per raccattare voti, senza creare reali opportunità di lavoro. E se si avesse a cuore le italiche sorti forse bisognerebbe ragionare sulle parole del ministro Giorgetti che l'ha gettata lì, come se fosse una semplice battuta che tanto battuta non è, conoscendo l'uomo: perché non pensare oggi ad un "Lavoro di cittadinanza"?
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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