In Italia sono registrati presso il Cnel oltre mille contratti collettivi nazionali di lavoro, ma solo una parte di questi è sottoscritta da organizzazioni realmente rappresentative delle imprese e dei lavoratori. Nei settori terziario e turismo, comparti chiave per l’economia nazionale, si contano più di 250 contratti, ma la stragrande maggioranza dei lavoratori è coperta da pochi contratti storici, tra cui il Ccnl Terziario, Distribuzione e Servizi di Confcommercio, applicato a circa 2,5 milioni di addetti.
Contratti pirata: Confcommercio, coinvolti 160mila lavoratori e 21mila imprese
Accanto ai contratti firmati dalle organizzazioni rappresentative cresce il fenomeno dei cosiddetti “contratti pirata”, sottoscritti da sigle minori, spesso prive di effettiva rappresentatività. Secondo il rapporto presentato oggi da Confcommercio, questi contratti paralleli sono oltre 200 e riguardano 160mila dipendenti distribuiti in più di 21mila aziende, in prevalenza micro-imprese e cooperative.
I numeri più rilevanti
Fra i contratti pirata più diffusi figurano quello di Anpit H024, applicato a 56.743 dipendenti, e il contratto Anpit H05K, che coinvolge altri 35.870 lavoratori. Importante anche il contratto Cnai H019, che copre 15.174 addetti. Questi tre contratti da soli rappresentano quasi due terzi del totale dei lavoratori interessati.
Confcommercio sottolinea che il fenomeno è in costante crescita, specie tra le realtà di piccole dimensioni, dove l’assenza di controlli stringenti e il minor potere contrattuale dei lavoratori favoriscono l’adozione di contratti che prevedono condizioni economiche e normative meno favorevoli.
Un problema economico e territoriale
L’espansione dei contratti pirata riguarda soprattutto le aree del Mezzogiorno, dove l’applicazione di contratti sottoscritti da sigle minori genera squilibri territoriali in termini di diritti, salari e tutele rispetto al resto del Paese.
Secondo Confcommercio, la proliferazione di questi contratti non solo incide sulla qualità dell’occupazione ma rischia di alterare le dinamiche concorrenziali, consentendo alle imprese che li adottano di sostenere costi del lavoro inferiori rispetto alle aziende che applicano i contratti collettivi nazionali più diffusi e rappresentativi.
Un nodo per la competitività e il lavoro di qualità
Il terziario e il turismo sono settori che contribuiscono in modo decisivo al Pil nazionale e al tasso di occupazione. Tuttavia, il diffondersi di contratti pirata mina la stabilità di queste filiere e la possibilità di garantire un’occupazione di qualità, oltre a ridurre il gettito fiscale e contributivo.
Per Confcommercio, la risposta al fenomeno deve passare attraverso una maggiore vigilanza sulle pratiche contrattuali, la promozione della contrattazione collettiva rappresentativa e il rafforzamento di meccanismi di certificazione dei contratti depositati presso il Cnel.
Un tema centrale per le politiche del lavoro
Il rapporto presentato oggi a Roma conferma come il tema dei contratti pirata rappresenti una delle questioni più delicate nel dibattito sulle politiche del lavoro e della produttività. La diffusione di contratti alternativi, infatti, incide sulla qualità del capitale umano, sull’equità del mercato e sulla sostenibilità delle imprese nel lungo periodo.
Confcommercio ha ribadito la necessità di armonizzare le regole per impedire il proliferare di accordi contrattuali che, pur formalmente depositati, non garantiscono livelli minimi di tutele e retribuzioni, mettendo a rischio il principio della leale concorrenza tra imprese.
In un contesto economico in cui i servizi e il turismo giocano un ruolo crescente nella crescita del Pil e dell’occupazione, il contrasto ai contratti pirata è visto come condizione essenziale per garantire trasparenza, equità e sviluppo sostenibile nei rapporti di lavoro.