Covid-19, e se il Governo la smettesse con gli annunci?

- di: Diego Minuti
 
''Gattopardismo'': ''teorica disponibilità a innovazioni e cambiamenti, specialmente politici, nella consapevolezza che la continuità prevarrà sul rinnovamento''.  D'estate, ad anni alterni, nella mia top ten dei libri da leggere c'è sempre, anche se ormai ne conosco ogni pagina, ogni scenario, ogni sottile ragionamento, ''Il Gattopardo'', capolavoro di Giuseppe Tomasi di Lampedusa che sembra potersi adattare ad ogni stagione della politica in Italia. Rispondo subito a chi si interroga sul motivo di questa premessa, perché, davanti ad una tragedia epocale, non solo nazionale, come il Covid-19, l'Italia sta rispondendo con un doppio canone di comportamento: efficace - sino a prova del contrario - nella strategia di contrasto al contagio e nell'approntamento delle necessarie contromisure; tentennante nello stabilire linee di condotta, magari non condivise a livello locale, che preparino il Paese a riprendersi, a sollevare la testa dalle acque profonde in cui ci sta conducendo la crisi economica. Misure che però, all'occhio esperto  e magari anche a quello ignorante, appaiono incapaci di modificare lo stato dell'arte della nostra economia, quasi che, tra squilli di trombe e vessilli sbandierati, ci si voglia muovere lentissimamente, ma dando enfasi ad ogni mossa, ad ogni iniziativa, anche se di cortissimo respiro. Avanti adagio, quasi indietro, secondo una frase che, dal gergo marinaro, è ormai entrata nell'uso comune. Il primo ministro Conte, sempre più stanco, a vederlo in televisione, ha annunciato che la stretta ai comportamenti di ciascuno ed ai relativi rapporti interpersonali, finora ritenuta necessaria per arginare il contagio, sarà allentata  a partire dal 4 maggio, con una serie di aperture scaglionate che dovrebbero condurre l'Italia per mano sino ad una apparente normalità. Ma siamo veramente sicuri che alla fine tutte le caselle andranno a posto nel disegno elaborato dal Governo? Ho delle perplessità perché le aperture, sia pure diversificate nel tempo, rischiano di determinare una doppia velocità delle attività economiche che, invece di aiutare, sarà di nocumento, determinando un clima di litigiosità di cui non abbiamo certo bisogno. L'economia nazionale poggia essenzialmente su attività di piccola e media grandezza che, vedendo la luce verde data alle grandi industrie, si troveranno doppiamente penalizzate. Dapprima, perché resteranno chiuse, poi perché non potranno essere interlocutrici di chi - industrie o grandi complessi economici - si appoggiano a loro. Certo, l'Italia non si può permettere di fermare ancora per troppo tempo le grandi filiere, ma qualcuno pensa veramente alle piccole attività? L'enorme massa monetaria che il Governo ha detto di avere mobilitato (''mobilitare'' è cosa ben diversa da ''erogare'') non sembra ancora avere dispiegato gli effetti sperati e lo spettro della chiusura - che sino a poche settimane fa era vista come un potenziale pericolo - ormai è cosa certa per moltissime imprese, trovatesi all'improvviso in crisi di liquidità, conseguenza del fermo delle commesse e delle attività.    E' stato fatto tutto il necessario? Certo che no. Si poteva fare di più? Certo che sì. Ma quel che è stato fatto va bene? E su questo quesito il dibattito è destinato a proseguire perché la sensazione che si avverte è che nel comportamento e nelle decisioni del Governo ci sia stato un certo strabismo, considerata la scarsa reattività in campo economico a dispetto della raffica di annunci che, invece, è stata fatta e si continua a fare. Al Paese non si può chiedere di rimboccarsi le maniche e riprendere a lavorare senza interventi che ricuciano la trama del tessuto economico, prima ancora che di quello sociale, che è sicuramente importante, ma che passa necessariamente in seconda fila quando si tratta di porre basi per un auspicata ripresa. Ma non tutto quello che è stato fatto è da considerare negativamente. L'insistere sulle elementari misure di contrasto al contagio (come la distanza sociale ed il divieto di assembramento) è positivo e poco importa se l'egoismo ha portato molti a sfidare lo Stato accampando le scuse più becere - le grigliate sulla terrazza di casa; la necessità di prendere il sole sulla spiaggia; manifestazione pseudopolitiche per contestare il 25 aprile come festa della Liberazione - per riconquistare pochi minuti di ''libertà'', se proprio la vogliamo chiamare così. Il Governo, come massima espressione politica dello Stato, ha il dovere di aiutarci a fronteggiare l'emergenza sanitaria, ma anche di trovare in fretta gli strumenti per fare sì che si cominci ad allentare il nodo scorsoio che ormai sta soffocando molte attività nel Paese. Ma questa reattività, al momento, è mancata e le cose che sono state fatte non hanno certo risolto uno che sia uno dei problemi veri del Paese. E' come se Giuseppe Conte e il suo governo capiscano che devono fare, ma che non possano muoversi se non con grande attenzione, per evitare di fare male.  Adelante, con juicio, dice il gran cancelliere Ferrer al suo cocchiere Pedro, per evitare che la sua carrozza, passando tra la folla manzoniana urlante di rabbia, possa colpire qualcuno scatenando la violenza. Ecco, l'azione del Governo sembra improntata alla prudenza di Antonio Ferrer: andiamo avanti piano piano, finché la rabbia è ancora forte. Credo sia opportuna un'ultima considerazione in merito alla protesta dei vescovi italiani che, vista la conferma del divieto di cerimonie religiose e le drastiche limitazioni ad alcune di essere (come i funerali, con un massimo di 15 familiari presenti alla cerimonia), hanno parlato di violazione del principio della libertà di culto. Eccellenze - mi rivolgo ai vescovi con il titolo che loro compete -, ho sempre apprezzato il vostro impegno a favore dei deboli e dei vessati. Ma questa volta siete andati oltre il vostro mandato. ''Date a Cesare quel che è di Cesare, date a Dio quel che è di Dio'', disse Gesù (secondo tre degli evangelisti), e se Cesare decide per salvare delle vite forse è il caso, per una volta, di scegliere il voto del silenzio.   
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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