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Enrico Dini e D-Shape: dalla Terra alla Luna, la stampa 3D che rivoluziona il futuro

- di: Redazione
 
Enrico Dini e D-Shape: dalla Terra alla Luna, la stampa 3D che rivoluziona il futuro

L’Ing. Enrico Dini, fondatore di D-Shape, ci racconta la sua rivoluzionaria invenzione: la stampa 3D su larga scala applicata all’edilizia. Dini ripercorre il momento in cui ha avuto l’intuizione di utilizzare questa tecnologia per costruire case, ispirandosi alle forme organiche di Antoni Gaudí. Parla delle sfide affrontate per trasformare un’idea in realtà, dei progetti visionari come il “mattone lunare” per le future colonie spaziali e delle barriere coralline artificiali per il ripopolamento marino. Dini condivide anche le difficoltà incontrate in Italia rispetto al riconoscimento della sua tecnologia, nonostante il successo internazionale. Infine, immagina un futuro in cui la stampa 3D possa contribuire alla bonifica dei deserti e alla colonizzazione di Luna e Marte.

Enrico Dini e D-Shape: dalla Terra alla Luna, la stampa 3D che rivoluziona il futuro

Dall’automazione alla stampa 3D edilizia: Ingegner Dini, qual è stato il momento esatto in cui ha capito che la sua tecnologia poteva rivoluzionare il settore delle costruzioni e quali sono state le sfide più grandi che ha dovuto affrontare nel trasformare un’intuizione in una realtà industriale?
Accadde durante una dimostrazione di stampa 3D che feci alla Piaggio di Pontedera, una mattina di marzo del 2004. Avevo preso una rappresentanza per la Toscana delle stampanti 3D a polveri prodotte dalla Z-Corp di Burlington (MA) e l’amico Sele, che fornisce servizi informatici alla Piaggio, mi aveva procurato una presentazione. I progettisti si attorniarono curiosi alla macchina e iniziammo a stampare una biella di scooter. Il processo di fabbricazione, che consiste nella stratificazione di pagine di polvere spruzzate di colla da una testina ink-jet, era affascinante, ma lento e ripetitivo. All’eccitazione, presto prese il posto il silenzio, e in quel frangente dissi: ‘Sele, sto seriamente pensando che con questo processo, debitamente scalato, si potrebbero stampare le case!’. Sele sgranò gli occhi azzurri ed esclamò: ‘Ma è un’idea rivoluzionaria!’. Cominciò così. Si avvicinava l’ora di pranzo e la stampa a strati di un decimo di millimetro era ancora lunga a finire. Alla chetichella, i progettisti cominciarono a defilarsi e apparve chiaro che non avremmo venduto alcuna stampante. Ma avevo avuto una grande idea. Quella notte non dormii: mi veniva in mente una vecchia cartolina da Barcellona raffigurante la Sagrada Familia che nel ‘68 le mie sorelle avevano spedito alla famiglia, attaccata al frigo. Era quel tipo di architettura che la stampa 3D permetteva di realizzare! Mettere in pratica questa idea grandiosa, più che una sfida, apparve a chi mi stava intorno una pazzia: mia moglie, i miei genitori, l’A.D. della società per cui lavoravo, tutti mi sconsigliarono di intraprendere un’impresa che appariva insormontabile sotto tutti i punti di vista. ‘…E se anche riuscirai a ottenere un risultato, te lo porteranno via’. Così dicevano. Ma io, esaltato all’idea di fare questa cosa bella, decisi di non ascoltare i consigli di chi mi voleva bene e mi imbarcai in questa sfida. Davvero lo feci a dispetto di tutti, e questa consapevolezza fu un dolore grande.

La sua ispirazione per la stampa architettonica è venuta da Antoni Gaudí, un maestro delle forme organiche e della fusione tra ingegneria e arte. In che modo le geometrie naturali possono non solo rivoluzionare l’architettura, ma anche rendere le costruzioni più sostenibili e resilienti rispetto ai materiali e ai metodi tradizionali?

Nel campo dell’ingegneria strutturale, l’Ottimizzazione Topologica è quella metodologia computazionale che consiste nel togliere materiale dove non serve per addensarlo dove corrono le linee di forza. In tal modo, si può alleggerire di molto un componente strutturale. Se si guarda un femore in sezione, si vede che il materiale resistente alla compressione, il carbonato di calcio, è organizzato in trabecole ossee. Ebbene, le ossa del nostro corpo sono ‘ottimizzate topologicamente’. Questo fa la natura: tende verso lo stato di minima energia, utilizzando le risorse quanto basta per raggiungere lo scopo; agisce in modo sostenibile e veramente, in natura vale il detto ‘il più è vano quando il meno basta’. Gaudí fu il primo ad applicare questa metodologia per realizzare la Sagrada Familia. La stampa 3D a scala di architettura permette di realizzare questo tipo di strutture, impossibili da realizzare con altre tecniche, se non a costi altissimi.”

Dalla Terra alla Luna e ora ai coralli: il suo lavoro spazia dall’edilizia spaziale al ripopolamento marino con barriere coralline stampate in 3D. Come è nata questa idea visionaria, quali risultati concreti sta già producendo e quali prospettive immagina per il futuro degli ecosistemi marini grazie a questa tecnologia?
Il caso spesso guida le nostre scelte di vita e incide sui nostri destini. L’idea di utilizzare la mia invenzione per fare le case sulla Luna o le case per i pesci non è mia, ma degli interlocutori con i quali ho interagito nei primi momenti del progetto. A Ponsacco, in Toscana, dove ho il laboratorio, c’è un detto divertente che dice ‘Il maiale sogna le ghiande’. Così l’australiano che aveva a cuore lo sbiancamento della grande barriera corallina australiana suggerì di usare D-Shape per fare barriere coralline artificiali, mentre un ingegnere spaziale disse che era perfetta per metterla in un razzo e stampare le case sulla Luna o su Marte. Oggi utilizzo D-Shape per stampare moduli per il ripristino degli ecosistemi marini. Ho creato un nuovo mercato grande come il mare, con tantissimi nuovi prodotti da ideare.

Il “mattone lunare” rappresenta il primo tassello per la costruzione di habitat fuori dal nostro pianeta e potrebbe rivoluzionare le missioni spaziali. Quali sono i passi tecnologici ancora necessari per vedere la prima base lunare abitabile stampata in 3D e quale impatto potrebbe avere questa innovazione sull’esplorazione spaziale di lungo termine?

Il mattone lunare che ho realizzato per l’ESA ha svolto la sua funzione provocatrice del ‘SI-PUÒ-FARE!’. Da allora è nata una nuova branca dell’architettura che si chiama Space Architecture. Sono molti i progetti in corso in varie parti del mondo che, prendendo spunto dal mio progetto, sono andati molto, molto avanti. Il mio partner di progetto, l’arch. Xavier De Kestelier, ha portato avanti l’iniziativa con Hassel Studio a Londra per l’applicazione del progetto su Marte. Negli Stati Uniti, la ICON ha realizzato un fabbricato utilizzando un simulante di regolite marziana. Più o meno, ora la tecnologia potrebbe anche funzionare. Il problema è che, per andare sulla Luna o su Marte, serve l’acqua. Ce n’è lassù, ma bisogna andarla a prendere e non è semplice. Una macchina di fabbricazione digitale che utilizzi il suolo locale è l’unico modo per colonizzare un corpo celeste. Altrimenti, come ebbi a dire provocatoriamente a Scott Hovland dell’ESA per stuzzicarlo a prendere in considerazione la mia idea, con dei bidoni di metallo si va a fare solo camping.”

D-Shape collabora con artisti, architetti e scienziati per realizzare progetti pionieristici nel mondo della stampa 3D. Qual è stato il progetto più visionario e complesso che ha portato a termine finora, e quale sogno nel cassetto vorrebbe ancora realizzare con questa tecnologia rivoluzionaria?
Fabbricare la più grande stampante del mondo e usarla per stampare The Radiolaria Pavillon, la prima struttura stampata in 3D al mondo, rappresenta l’impresa più grande che ho fatto nella vita, perché ho dovuto inventare tutto da zero. Anni fa ho fatto un brevetto sulla bonifica dei deserti. Non è un progetto di Desert Greening, ma un intervento infrastrutturale per rendere il suolo idoneo all’uso antropico tout court. Applica il principio delle bonifiche per colmata che fu applicato dal Granduca di Toscana per la bonifica delle Maremme Toscane, ma applicato al contrario. Il costo può variare da 100 milioni al miliardo per kilometro quadrato, con un ritorno di investimento a dieci anni che può arrivare a 10. Nel 2014, predisposi la proposta per il ministro degli esteri del Kuwait in visita a Bari, ma fra visite a frantoi e caseifici ebbi solo qualche minuto per illustrare il progetto. Poi a Dubai incontrai uno sceicco, ma feci l’errore di mostrare anche le mie barriere coralline e dirottai su questo la sua attenzione. Poi ho avuto altre cose da fare e ho lasciato perdere. Avrei tanto piacere di realizzare un Dimostratore Tecnologico di qualche migliaio di metri quadrati.

Nonostante il riconoscimento internazionale e l’attenzione di colossi come Jeff Bezos e Norman Foster, in Italia il suo lavoro non ha sempre ricevuto il giusto valore. Crede che il nostro Paese sia pronto ad abbracciare la rivoluzione della stampa 3D nell’edilizia o ci sono ancora barriere culturali e burocratiche da superare?
Massimo Moretti, fondatore di Wasp, che ho ispirato col mio lavoro, ha fatto Tecla con Mario Cucinella con la terra cruda. Fra tutti, è colui che ha fatto davvero qualcosa e sa bene delle problematiche burocratiche. Chiedete a lui. Alla mia tecnologia è stata preferita quella cosiddetta ‘a estrusione’, decisamente più semplice, anche se meno potente del mio metodo, essendo un 2D e mezzo, non un 3D. Comunque, le linee guida sul 3DCP (Three Dimensional Concrete Printing) esistono già. In Danimarca, Henrik Lundsen, fondatore di Cobod, altro mio emulo, sta costruendo fabbricati in Europa e in Arabia Saudita. A D-Shape di Hong Kong, invece, il mio partner Ing. Mario Nuzzolese ha grandi progetti e ha fatto entrare il governo cinese nell’azionariato. La strategia è di iniziare là per poi venire qua.

Se oggi avesse davanti due dei più grandi visionari dell’era moderna, Jeff Bezos ed Elon Musk, cosa direbbe loro per convincerli a investire nella sua tecnologia per le future missioni spaziali, e quale contributo unico potrebbe offrire D-Shape ai loro progetti per colonizzare Luna e Marte?

Nel 2016, Jeff Bezos mi invitò a fare una dimostrazione di stampa 3D a Palm Springs (CA) per il suo evento privato MARS. Al termine della cena di gala, mi invitò al suo tavolo. Gli raccontai di Marco Valleggi, l’amico visionario che aveva inventato la Computer Discount, morto tragicamente in un incidente stradale. Brindammo alla sua memoria e, al che, proporgli di investire mi apparve inappropriato. No, gli proporrei di stampare edifici di forma libera qui, sulla Terra. Quanto a Elon Musk, ho conosciuto il suo fedele collaboratore Xavier Verdura, progettista di Tesla. Gli chiesi di accennargli l’argomento, ma replicò che era preso a far funzionare SpaceX. No, se incontrassi Musk, gli proporrei di finanziare il progetto sulla bonifica dei deserti. Ci sono milioni di kilometri quadrati che attendono di essere terra-trasformati. Marte è già qui e pieno di aria respirabile, per giunta.

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