L’ad di Piazzetta Cuccia boccia l’offerta di Siena e accusa Palazzo Chigi: “Ruoli multipli e condizioni anomale”. E intanto parte il roadshow di Lovaglio per convincere i fondi esteri.
Un’offerta ostile, una replica al vetriolo e il peso del governo su tutto
Nel risiko bancario italiano si è aperta una nuova fase di tensione. E a guidarla non è solo l’offerta pubblica di scambio (ops) lanciata da Mps su Mediobanca, ma l’attacco durissimo partito da Alberto Nagel (foto), amministratore delegato di Piazzetta Cuccia, che ha denunciato una “situazione anomala” e un governo che agisce “su più livelli” nella vicenda.
Nagel non si è limitato a respingere l’offerta: l’ha definita “ostile, non concordata, priva di razionale industriale e inadeguata per i nostri azionisti”. Ma è andato oltre, accusando Palazzo Chigi di aver orchestrato un’operazione che – a suo dire – “non si regge né sul mercato né sulla trasparenza”.
Il retroscena del 15% e l’ombra della magistratura
L’affondo più grave riguarda la cessione del 15% di Mps effettuata lo scorso novembre dal Ministero dell’Economia. Una tranche finita nelle mani di soggetti chiave nel panorama finanziario italiano – Caltagirone, Delfin, Banco Bpm e Anima Holding – e ora sotto la lente della magistratura, dopo un esposto presentato da Mediobanca.
Nagel ha ricordato che “il governo ha venduto quel pacchetto, ha mantenuto il controllo del consiglio di amministrazione del Monte dei Paschi – dove la metà dei consiglieri sono di nomina governativa – e allo stesso tempo esercita il golden power sulle operazioni di consolidamento bancario”. Un triplice ruolo che, secondo l’ad, ha reso l’intera partita “viziata all’origine”.
L’operazione di novembre, ora al vaglio degli inquirenti, viene considerata da Nagel come “il primo tassello di un disegno che non ha nulla di spontaneo”. E punta il dito contro le tempistiche sospette del collocamento e contro l’assenza di reale pluralità nei soggetti coinvolti.
Golden power e Unicredit: i precedenti che alimentano i sospetti
A rafforzare l’accusa c’è il richiamo a un precedente: lo stop imposto da Palazzo Chigi, tramite golden power, all’ops di Unicredit su Banco Bpm. Un caso che ha attirato l’attenzione della Commissione europea, che sospetta una violazione delle regole sulla concorrenza.
“Se il governo decide chi può aggregarsi e chi no, allora siamo fuori dalle regole del mercato”, ha detto Nagel. È questo il cuore del ragionamento: una regia pubblica non trasparente distorce il sistema e allontana i capitali esteri.
Non a caso, tra i soci contrari all’ops su Mediobanca ci sono Banco Bpm, Anima, Amundi e Unicredit, ovvero attori che in teoria dovrebbero essere neutrali o concorrenti.
“Nessuno ci crede”: la replica all’ad di Mps
Ancora più tagliente la risposta alle dichiarazioni di Luigi Lovaglio, amministratore delegato del Monte, secondo cui l’offerta sarebbe stata frutto di una scelta indipendente. “Non è credibile – ha detto Nagel – che Lovaglio abbia agito per conto suo. Tutti hanno visto che questa operazione è stata preparata dai maggiori azionisti, incluso il governo”.
Una frase che inchioda il dibattito su un piano politico prima ancora che finanziario. Il governo, per ora, tace. Ma è probabile che le accuse di Nagel costringeranno Palazzo Chigi a uscire allo scoperto.
Roadshow di Lovaglio a Londra: la controffensiva parte dai fondi esteri
Intanto, Lovaglio è volato a Londra per il primo incontro con gli investitori esteri, nel tentativo di convincerli ad aderire all’ops. La finestra per accettare l’offerta resta aperta fino all’8 settembre, ma l’avvio è stato deludente: solo 928 azioni, pari allo 0,0001% del capitale di Mediobanca, sono state portate in adesione nella prima giornata.
A livello borsistico, mentre Mediobanca è rimasta stabile a 18,25 euro per azione, Mps ha guadagnato l’1,4% salendo a 7 euro. Lo “sconto” implicito dell’offerta si è ridotto a 410 milioni di euro, ovvero il 2,7%, ma resta troppo alto per convincere i grandi fondi.
Le prossime mosse: rischio stallo, o scontro totale
Il Consiglio di amministrazione di Mediobanca, che ha bocciato l’offerta, resta compatto. La convocazione dell’assemblea straordinaria potrebbe diventare il terreno di scontro diretto con il fronte pro-Mps, ammesso che questo riesca a raccogliere adesioni sufficienti.
L’operazione rischia ora di impantanarsi, a meno che il governo non decida di intervenire direttamente per normalizzare lo scontro e favorire un nuovo piano di consolidamento. Ma la linea di Mediobanca è categorica: difendere il proprio modello fondato su governance indipendente e un’alleanza stabile con Generali.
Una partita che vale molto più di due banche
Quello che si gioca non è solo il destino di Mediobanca o Monte dei Paschi. Ma la legittimità di un modello bancario dove le regole di mercato valgono ancora qualcosa. Dove il governo non può agire come azionista, arbitro e regista della stessa partita.
È questo, in definitiva, il senso dell’allarme lanciato da Nagel: “Se accettiamo che una simile operazione venga fatta così, allora qualunque altra banca italiana potrà essere messa nel mirino con lo stesso schema”.
Una dichiarazione che suona come avvertimento, ma anche come presa di posizione pubblica su una questione sistemica: la libertà – o meno – del sistema bancario italiano dal controllo politico.
E in un’Europa che guarda con crescente sospetto agli intrecci tra governi e banche, la partita potrebbe ben presto spostarsi anche a Bruxelles.