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UniCredit alza la posta su Commerzbank, Orcel non arretra

- di: Bruno Legni
 
UniCredit alza la posta su Commerzbank, Orcel non arretra
Il ceo spinge l’asse Milano-Francoforte: “Abbiamo un piano”. Berlino resiste, Orlopp respinge, il mercato osserva. Sul tavolo posti di lavoro, strategia e futuro europeo.

Orcel (foto) insiste: “Abbiamo un piano”

Andrea Orcel non ama i passi indietro. Dal palco del forum bancario di Francoforte ha ribadito che l’avanzata di UniCredit su Commerzbank non è improvvisata. “Se si eliminano le speculazioni, saremmo felici di un dialogo costruttivo con chiunque lo voglia”, ha dichiarato Andrea Orcel, rivendicando che un percorso c’è e che i tempi saranno dettati dalla qualità del confronto, non dalle voci di mercato.

Oggi UniCredit detiene circa il 26% di Commerzbank e punta a sfiorare il 30% entro fine anno: una soglia che, senza cambiare la natura dell’investimento, ne rafforza l’influenza. L’obiettivo operativo, ha spiegato il ceo, è che “il prezzo delle azioni continui a salire”, perché una Commerzbank più solida accresce di riflesso anche il valore per gli azionisti UniCredit. E sul punto più atteso, Orcel ha scandito: “Quella di un’opa è una decisione che spetta agli azionisti, al cda e ai team”, lasciando la porta aperta senza impegnarsi su esiti precostituiti.

Quanto alle critiche sul metodo, il tono è netto: “Tutti speculano su cosa succede prossimamente. Nessuno sa davvero qual è il piano, ma questo non significa che non ce l’abbiamo. Perché noi abbiamo un piano”, ha rilanciato Orcel, marcando la distanza tra rumore di fondo e direzione strategica.

Orlopp resta contraria, Berlino diffidente

Dall’altra parte, la ceo Bettina Orlopp ha respinto l’ipotesi di un percorso comune: “Non è un’opzione”, ha detto, tornando a difendere l’indipendenza dell’istituto di Francoforte. Sullo sfondo si muove il governo tedesco, azionista di minoranza ma politicamente determinante, che ha ribadito con formula prudente: “Non commentiamo azioni ipotetiche”, ha affermato un portavoce dell’esecutivo.

Nell’arena pubblica, lo scontro non è soltanto industriale. È anche identitario: il secondo gruppo bancario tedesco è un presidio simbolico e regolatorio, e l’avanzata di un campione paneuropeo come UniCredit viene letta a Berlino come una forzatura nei tempi e nei modi. La frizione, qui, è tutta tra integrazione bancaria europea e riflessi nazionali.

Il nodo occupazionale

Il terreno più sensibile resta il lavoro. Orcel ha provato a depotenziare i timori: “Tra cinque o sei anni probabilmente eliminerebbero più posti di lavoro rispetto a un consolidamento con noi, perché sono costretti a farlo”, ha spiegato, suggerendo che un’operazione ordinata possa gestire meglio gli impatti sociali. Intanto Commerzbank ha varato un piano al 2028 che prevede 3.900 uscite, con l’obiettivo dichiarato di difendere l’autonomia e rafforzare l’efficienza.

Il messaggio è chiaro: o il ridisegno dei costi avviene sotto la regia di un progetto industriale comune, oppure arriverà comunque – ma in modo più frammentato – per pressione competitiva e tecnologica. È la differenza tra un consolidamento proattivo e una riduzione reattiva della base occupazionale.

Governance e poltrone contese

Altro dossier ad alta tensione è la governance. Orlopp ha escluso l’ipotesi di un rappresentante UniCredit nel consiglio di sorveglianza: per lei significherebbe dare spazio a “un concorrente”. Orcel ha replicato senza giri di parole: le regole di vigilanza e i codici interni sono sufficienti a evitare conflitti d’interesse; ciò che conta è che ogni consigliere agisca nell’interesse dell’azienda. Il punto, in sostanza, è se UniCredit debba restare un azionista puramente finanziario o possa diventare un azionista industriale con voce sulle scelte strategiche.

Il mercato guarda, l’Europa osserva

Nel breve periodo l’orizzonte resta doppio. Da un lato, la traiettoria del titolo Commerzbank – che per UniCredit è un moltiplicatore di valore e legittimazione. Dall’altro, la politica: senza un clima più disteso a Berlino, ogni progetto rischia di restare sospeso. È la fotografia di un’Europa che invoca banche più grandi e più resilienti, ma poi inciampa nelle resistenze nazionali. Il bivio è nitido: sedersi davvero al tavolo e testare la via europea al consolidamento, oppure congelare lo status quo e lasciare campo alle inerzie.

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