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Vino toscano sotto assedio: dazi, invenduto e nuove rotte

- di: Jole Rosati
 
Vino toscano sotto assedio: dazi, invenduto e nuove rotte
Vino toscano: dazi USA al 15%, cantine piene, nuove rotte
Il 15% Usa pesa sul prezzo, Irpet stima 300 milioni di danni. I consorzi chiedono aiuti e guardano oltre l’Atlantico: il Chianti prova Lagos, tra chance e ostacoli.

Dazi al 15%, conto salato

La linea è tracciata: sul vino europeo diretto negli Stati Uniti si applica il nuovo regime di dazi al 15%. Lo confermano fonti settoriali e istituzionali, con Unione Italiana Vini che quantifica in 317 milioni di euro l’impatto sul comparto italiano e invoca una risposta coordinata con i partner americani. “Per il vino si conferma il 15%… una stangata per il settore”, ha detto Lamberto Frescobaldi (UIV), chiedendo di “reagire insieme” e di lavorare per correggere la rotta nei “tempi supplementari” dei negoziati, ancora senza esenzioni per la categoria.

Sul fronte politico, Bruxelles ha ammesso che non c’è accordo con Washington per togliere il vino dall’elenco dei prodotti colpiti, come spiegato dal vicepresidente Maroš Šefčovič in conferenza stampa. Tradotto: nessuna “corsia preferenziale” per ora.

Giacenze record, vendite lente

L’aumento dei costi, l’incertezza geopolitica e la domanda fiacca hanno creato un imbuto. In Toscana le cantine superano i 5,4 milioni di ettolitri di giacenze; a livello nazionale i magazzini hanno viaggiato tra 43,6 milioni di hl al 30 giugno e 39,8 milioni di hl al 31 luglio 2025 secondo i report “Cantina Italia” dell’Icqrf. Sono volumi paragonabili a una vendemmia intera, con i rossi più esposti.

L’Irpet (l’istituto di programmazione della Toscana) stima un danno da 300 milioni sull’agricoltura regionale per effetto dei dazi, con vino e olio che trovano negli Usa il primo sbocco estero. È un colpo su una regione già in affanno per il rallentamento globale.

La voce dei consorzi: “Servono risorse straordinarie”

Il messaggio dal mondo del vino è netto. Andrea Rossi, presidente di Avito (24 consorzi toscani) e del Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano, ha chiesto “un intervento strutturale” di Governo e istituzioni per fronteggiare il nuovo scenario, ricordando il peso del mercato Usa sul vino toscano di qualità. “Gli Stati Uniti valgono circa il 37% dell’export di fascia alta: bisogna trovare nuovi mercati e alleggerire le regole dell’OCM promozione”, ha ribadito nelle ultime settimane.

Dal lato tirrenico, Francesco Mazzei (Consorzio tutela vini Maremma Toscana) non usa giri di parole: “Se i dazi resteranno al 15% sarà un grave problema e il segno di un fallimento dei negoziati”. Un allarme accompagnato da un paradosso: uva in ottima salute per la vendemmia 2025, ma prezzi a rischio compressione.

Oltre gli usa: la scommessa africa

Mentre gli operatori fanno i conti, c’è chi accelera fuori rotta Atlantico. Il Consorzio Vino Chianti ha messo in calendario Lagos (Nigeria) tra le tappe promozionali: missione gennaio 2025 nell’ambito del Gambero Rosso World Tour, seguita da São Paulo. È una novità concreta, non suggestione.

Perché Nigeria? Il mercato mostra segnali contrastanti ma interessanti: è il più grande sbocco africano per i vini Usa (export 2024 a 7,8 milioni di dollari, +65% anno su anno, indicativo della crescita del consumo urbano e premium), e la platea potenziale resta ampia.

Ma guai a dipingere un Eldorado senza nuvole. La naira si è fortemente svalutata dopo le riforme del governo Tinubu, con effetti pesanti su potere d’acquisto e import; inoltre sui vini importati gravano accise del 20% + dazi specifici per litro, oltre a oneri doganali e Iva che variano. In pratica, una logistica e una fiscalità che richiedono piani mirati su prezzo e distribuzione.

Persino il lifestyle di Lagos — bar e locali — ha risentito della crisi del costo della vita; per vendere vino lì servono target precisi (middle class, diaspora, canale horeca di qualità) e distributori solidi. Opportunità sì, ma con prudenza.

Cosa possono fare istituzioni e filiera

Primo, promozione intelligente con fondi OCM Paesi terzi: il canale c’è, con bandi nazionali e regionali (Toscana inclusa) e cofinanziamenti fino al 50% per fiere, B2B, campagne digital. Vanno usati subito per presidiare mercati alternativi (Canada, Corea, Sud-est asiatico, Africa urbana).

Secondo, misure anti-eccesso di offerta: l’Ue discute un “pacchetto vino” che include distillazione di crisi e vendemmia verde entro tetti finanziari dedicati; strumenti non risolutivi, ma utili a stabilizzare prezzi e qualità nelle denominazioni più in sofferenza.

Terzo, posizionamento: con il 15% Usa, la concorrenza di Cile, Australia e Argentina (che entrano con dazi diversi a seconda degli accordi bilaterali) si fa più feroce. L’Italia deve spingere su valore percepito (territorio, sostenibilità, enoturismo) e canali a margine (direct-to-trade, wine club, ristorazione italiana autentica). L’obiettivo è difendere lo scaffale negli Stati Uniti senza assecondare guerre di prezzo, mentre si coltivano nuove rotte.

Il punto: una crisi da governare, non da subire

La tempesta perfetta non è un destino: è un test di maturità. Se Governo e Regioni mettono in campo risorse straordinarie per promozione e decongestionamento delle cantine, e se la filiera sceglie con lucidità meno quantità, più valore, la Toscana può uscire dalla curva senza deragliare. Le giacenze insegnano che il ciclo è cambiato; i dazi ricordano che il commercio internazionale non fa sconti. Tocca al vino toscano — che qualità e reputazione le ha — scrivere l’ultima parola.

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