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Gaza: la tregua traballa e rilancia la guerra sul filo del cessate il fuoco

- di: Marta Giannoni
 
Gaza: la tregua traballa e rilancia la guerra sul filo del cessate il fuoco
Gaza: la tregua traballa e rilancia la guerra sul filo del cessate il fuoco
Nuovi raid israeliani, accuse a Hamas e ruolo deciso degli Stati Uniti in una mediazione ormai allo stremo.
 
Foto: (Situazione sempre pesante e precaria a Gaza).

Nel giro di poche ore, la fragile tregua entrata in vigore nella Striscia di Gaza ha subito un duro scossone. Sabato 22 novembre 2025 l’Israel Defense Forces (IDF) ha condotto diversi raid aerei contro obiettivi che ha definito “terroristici” riconducibili a Hamas, provocando almeno 20 morti e decine di feriti secondo fonti locali.

L’ufficio del primo ministro Benyamin Netanyahu ha accusato Hamas di aver violato il cessate il fuoco facendo attraversare un miliziano la “linea gialla” – il­l’area di ritiro stabilita dall’accordo – da cui è partito un attacco verso i soldati israeliani. In risposta, l’esercito israeliano ha annunciato la morte di cinque alti esponenti di Hamas. Hamas respinge l’accusa e chiede agli Stati Uniti di intervenire «per costringere l’occupante a rispettare l’accordo».

Un accordo fragile su più fronti

Il contesto è quello dell’accordo mediato dagli Stati Uniti, con protagonisti anche la Nazioni Unite e vari Stati arabi: il piano, che ha visto la risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 2803 il 17 novembre 2025, introduce la creazione di una forza internazionale di stabilizzazione (ISF) e di un organismo di governance temporaneo denominato “Board of Peace”. L’idea è ambiziosa: una nuova fase per Gaza, con il ritiro israeliano e la demilitarizzazione di Hamas, a vantaggio di una futura autorità palestinese.

Ma il terreno su cui poggia la tregua risulta tutt’altro che solido. Le condizioni umanitarie nella Striscia sono drammatiche, la fiducia reciproca è minima e la presenza stessa della zona “ritirata” (la linea gialla) appare sempre più un fattore di tensione. Come sintetizza un testimone palestinese: “This is not a life we can live. There’s no safe place.”

Il bilancio dei raid e la narrativa contrapposta

Secondo i rapporti ospedalieri palestinesi, sabato sono state bombardate aree in città come Gaza City (quartiere Rimal), Deir al-Balah e il campo di Nuseirat. Un veicolo è stato colpito nel quartiere Rimal provocando almeno 11 vittime. L’agenzia Reuters riferisce che almeno 20 persone sono morte e oltre 80 ferite.

Israele difende l’azione sostenendo che un “terrorista armato” ha attraversato la zona umanitaria adibita all’ingresso degli aiuti, sparando contro i soldati, e che la rappresaglia è stata tempestiva e mirata. Hamas contesta queste versioni: definisce i raid come «un pretesto per uccidere» e chiede l’intervento dei mediatori internazionali per far rispettare il cessate il fuoco.

Gli Stati Uniti al centro della scena

Particolarmente significativo è il ruolo della Casa Bianca: fonti statunitensi citate dai media confermano che gli Usa hanno fornito il via libera ai raid israeliani, accettando la visione israeliana secondo cui «le violazioni del cessate il fuoco saranno affrontate con una risposta immediata». Questo fatto segna non solo una conferma della cooperazione militare tra Usa e Israele, ma una virata nel messaggio diplomatico: gli Stati Uniti scelgono la linea della reattività piuttosto che della pacificazione preventiva.

Il piano Usa è considerato da molti come una resa dell’idea di una pace autonoma mediorientale: la forte impronta americana pone in ombra qualsiasi iniziativa locale indipendente, favorendo piuttosto una dipendenza strategica nei confronti di Washington.

Che futuro per la pace? Grande incognita

La prospettiva è ora un bivio: da un lato, l’accordo Usa-Onu può essere un passo decisivo verso la pacificazione – dall’altro, la sua mescolanza di diplomazia, presenza militare e governance internazionale lo rende vulnerabile. Se dovesse essere compromesso dalla ripresa dei combattimenti, il rischio è che la tregua si trasformi in pausa tattica prima della prossima ondata di violenza.

Una delle grandi incognite riguarda appunto la capacità di Hamas di esercitare il controllo sui propri miliziani, sul quale il governo israeliano appare convinto. Un analista citato da Channel 12 segnala che nei tunnel della zona di Rafah sarebbero intrappolati tra i 60 e gli 80 miliziani in piccoli gruppi isolati: la loro resa, il loro eventuale ricupero o la loro uscita costituiscono una variabile esplosiva.

Una tregua in bilico

La tregua nella Striscia di Gaza è oggi in bilico. Gli ultimi eventi dimostrano che la pace non è solo questione di firme e annunci, ma di fiducia reciproca, controllo locale e volontà internazionale. Se gli Stati Uniti e le Nazioni Unite intendono giocare un ruolo decisivo, dovranno però muoversi con rapidità e concretezza, altrimenti il silenzio diventerà solo la quiete prima della tempesta. Ogni violazione – reale o percepita – può aprire un nuovo capitolo di sangue. E in quel gioco pericoloso il prezzo lo pagano sempre i civili.

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