Il franchising italiano è in crescita, ma non sono i numeri a colpire quanto la trasformazione del modello: più solido, più umano, più aperto all’innovazione. Alberto Cogliati, Presidente di Assofranchising, associazione che aderisce a Confcommercio - Imprese per l'Italia, parla dell’equilibrio tra brand e persone, dell’impatto dell’intelligenza artificiale e del valore crescente dell’autoimpiego. Sottolinea l’importanza della formazione, della fiducia tra franchisor e franchisee, e il bisogno urgente di una cultura del credito più aperta al settore. Sul fronte politico, l’associazione rivendica il successo della sua azione sul DDL Concorrenza, ma invita a riforme strutturali che rendano il Paese davvero competitivo.
Assofranchising, Alberto Cogliati: “Il franchising è un modello resiliente che sa reinventarsi”
Dal Rapporto Assofranchising Italia 2025, realizzato da Nomisma, emerge che il franchising ha generato 35,8 miliardi di euro nel 2024. Dottor Cogliati, qual è oggi la leva più potente: la forza dei brand o la motivazione dei singoli imprenditori?
La forza del brand è sicuramente un fattore importante perché racchiude il senso di appartenenza e di riconoscibilità del marchio, e soprattutto abbatte le diffidenze e le barriere all’ingresso da parte dei consumatori finali. Credo però che a fare la differenza più grande sia la motivazione dei singoli manager alla guida dei brand che hanno saputo ristrutturarsi secondo le necessità del mercato, e perché sono stati capaci di spingere l’acceleratore sulla produttività, puntando sulle competenze delle persone e non sul saving. Le persone rimangono sempre l’asset fondante di questo modello di business, soprattutto se guidate nella formazione grazie a network trasversali.
Nel 2024 i punti vendita in franchising crescono del +2,2%, le insegne solo dello 0,2%. È il segno di una fase di consolidamento o della difficoltà di innovare nel sistema retail?
Credo che la crescita del giro d’affari del franchising, il numero dei punti vendita e degli addetti non dipendano dal numero di reti presenti, ma dalla solidità delle stesse. Le reti che funzionano sono quelle solide e capaci di sviluppare progetti seri, distintivi, organizzati e strutturati. Progetti pensati per rimanere sul mercato e non per essere delle meteore.
Il Rapporto evidenzia una forte diffusione dell’AI per marketing e logistica. Come evitare che l’automazione intacchi quel legame personale che spesso è alla base della fidelizzazione?
Ritengo che non si possa tornare indietro rispetto alla rivoluzione portata dall’AI. L’intelligenza artificiale è uno strumento imprescindibile e insostituibile perché rappresenta quel tipo di progresso inarrestabile e che prosegue in maniera automatica. Tuttavia, questa tecnologia non intaccherà o si sostituirà alle persone. Il rapporto di straordinaria fiducia che lega franchisor e franchisee non è nato grazie alla tecnologia, ma grazie al confronto costante. E in questo settore il più grande miglioramento passa attraverso il confronto tra quelle reti che hanno scelto di incontrarsi per capire con grande umiltà dove migliorare. Le persone che lavorano sui territori sono l’asset davvero imprescindibile per far funzionare questo modello di business.
Lei ha affermato che “l’affiliazione è nata e cresciuta con l’autoimpiego”, ma oggi il modello è anche terreno per fondi e operazioni multi-unit. Come si tutela lo spirito originario dell’affiliato singolo, quello che rischia e si gioca tutto su un punto vendita?
L’autoimpiego è un modello funzionante proprio come lo sono le operazioni Multi-Unit. Ci sono dei brand e delle reti che preferiscono orientarsi verso un modello Multi-Unit che magari consente alle aziende di arrivare con una maggiore facilità al break-even, e moltissimi altri marchi che preferiscono rivolgersi al mondo dell’autoimpiego. Esistono addirittura marchi che hanno iniziato con l’autoimpiego e che, con il tempo, sono diventati piccole Multi-Unit.
Il 65% dei franchisee avvia l’attività per autoimpiego. È un segnale di libertà imprenditoriale o un campanello d’allarme sullo stato del mercato del lavoro? E quanto conta l’accompagnamento iniziale?
Sono sempre di più le persone che scelgono di seguire le proprie passioni inseguendo il sogno di diventare imprenditori. Ritengo che in questo il modello del franchising, oltre a ridurre drasticamente il rischio d’impresa, lasci ampio spazio alla libertà, perché le persone che decidono di intraprendere questo percorso possono farlo a qualsiasi latitudine, e in luoghi dove la qualità della vita è migliore. In questo percorso l’accompagnamento iniziale è fondamentale e rappresenta il compito rigoroso di ogni franchisor.
Avete sottolineato che, se solo l’1% degli over 50 dimissionati ogni anno aprisse un negozio in franchising, si creerebbero 1.700 punti vendita in più per oltre 7.000 posti di lavoro. Ma cosa manca perché questo accada davvero: un intervento del legislatore, un cambio culturale o un’infrastruttura finanziaria dedicata?
Penso che ci sia bisogno di un cambio culturale. Mi piacerebbe poter incontrare tutte le persone meritevoli che sono state dimissionate, iscritte nei servizi di outplacement, o intente a cercare lavoro sulle classiche piattaforme. Ecco, se potessimo raccontare loro le caratteristiche di questo modello imprenditoriale, la forza del network, la resilienza e la capacità di abbattere i rischi d’impresa, credo che il franchising possa essere una soluzione altamente attrattiva. Occorre fare attività culturale anche nelle banche, spiegando che i professionisti che operano in franchising possono essere finanziati generando profitto per gli istituti di credito. C'è sicuramente spazio per una collaborazione più stretta con il sistema del credito, in un’ottica di fiducia e valorizzazione di questo modello imprenditoriale che, se stimolato, può raggiungere alti livelli.
Con un peso pari all’1,8% del valore aggiunto nazionale, il franchising è ormai un attore economico a pieno titolo. Ma la politica italiana è davvero pronta a trattarlo come tale?
Quello che ci aspettiamo dalla politica italiana è che si facciano le riforme strutturali necessarie a rendere il Paese più competitivo. In passato la politica italiana ci ha ascoltato, riconoscendo a pieno titolo il valore del comparto, e siamo convinti che continuerà a farlo. Mi riferisco, ad esempio, all’approvazione definitiva del DDL Concorrenza su cui Assofranchising ha portato avanti un’importante campagna di lobbying. Il testo di legge, che recava una serie di disposizioni imprescindibili per la concorrenza del sistema Paese, rischiava di pregiudicare un modello virtuoso come quello del franchising che vive di un perfetto equilibrio tra le due componenti del sistema, l’affiliante e l’affiliato. Ed è proprio in questo senso che è da leggere l’articolo 33, in cui si riscrive la disciplina dell’abuso di dipendenza economica e che, grazie all’azione e all’intervento proattivo di Assofranchising, non è stato applicato ai rapporti contrattuali tra franchisor e franchisee.
Il settore casa segna un -1,4%. Sta cambiando la domanda o è in difficoltà il format distributivo?
Il settore della casa è sempre andato bene e per molto tempo è stato un settore trainante nelle reti di affiliazione commerciale, ma come tutti i settori ha un movimento di mercato ondivago dovuto anche alle performance di alcune aziende che, per cause endogene, a oggi sono in un momento di ripensamento e riposizionamento.