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Italia ultima per stipendi reali tra i grandi Paesi europei: il divario si allarga, quali soluzioni?

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Italia ultima per stipendi reali tra i grandi Paesi europei: il divario si allarga, quali soluzioni?

L'Italia si trova all’ultimo posto tra i grandi Paesi europei per quanto riguarda il livello degli stipendi reali, ovvero quelli calcolati tenendo conto del potere d’acquisto. Questo significa che, pur percependo uno stipendio nominale simile a quello di un lavoratore francese o tedesco, il reddito disponibile di un italiano consente di acquistare meno beni e servizi rispetto ai colleghi europei.

Italia ultima per stipendi reali tra i grandi Paesi europei

Secondo i dati Eurostat aggiornati al 2023, la retribuzione media netta di un lavoratore single senza figli in Italia è inferiore del 15% rispetto alla media europea. La distanza con la Germania è ancora più marcata: un lavoratore tedesco guadagna, in termini di potere d’acquisto, il 45% in più rispetto a un collega italiano. Anche la Francia registra livelli retributivi più alti, con un vantaggio del 18% rispetto all’Italia, mentre la Spagna, pur avendo un'economia simile, riesce comunque a superare di circa il 2% il livello retributivo italiano.

Le cause della stagnazione salariale

Questo divario non è una novità, ma è il risultato di oltre vent’anni di crescita economica debole, politiche del lavoro inefficaci e una produttività stagnante. Mentre altri Paesi europei hanno avviato riforme per rendere il mercato del lavoro più dinamico e attrarre investimenti, l’Italia ha assistito a un progressivo deterioramento del potere d’acquisto della propria forza lavoro.

Uno dei principali fattori alla base di questa situazione è la bassa crescita della produttività. Se in Germania, Francia e altri Paesi del Nord Europa la produttività del lavoro è aumentata costantemente negli ultimi due decenni, in Italia è rimasta pressoché ferma. Un lavoratore italiano medio produce oggi meno valore aggiunto rispetto ai suoi omologhi europei, e questa stagnazione si riflette direttamente sulla capacità delle imprese di erogare salari più elevati.

Oltre alla produttività, un altro elemento determinante è la pressione fiscale. L'Italia è tra i Paesi con la più alta tassazione sul lavoro in Europa. Un cuneo fiscale e contributivo elevato significa che, a parità di costo per l’azienda, un lavoratore italiano riceve in busta paga meno rispetto ai colleghi europei. Questo incide pesantemente sul potere d’acquisto delle famiglie, limitando la capacità di spesa e, di conseguenza, la domanda interna.

Un altro fattore critico è la struttura del mercato del lavoro, caratterizzata da un’ampia diffusione di contratti precari e da una scarsa progressione salariale. Molti giovani entrano nel mondo del lavoro con stipendi bassi e, a differenza di quanto accade in altri Paesi, faticano a vedere aumenti significativi con l’avanzare della carriera. Questo rende il sistema poco attrattivo per i giovani talenti, alimentando il fenomeno della “fuga di cervelli”.

Le conseguenze della crisi salariale
Il basso livello degli stipendi italiani ha ripercussioni dirette sull’economia e sulla società. La riduzione del potere d’acquisto comprime i consumi interni, che rappresentano una componente essenziale della crescita del PIL. Se le famiglie dispongono di meno risorse per acquistare beni e servizi, l’intero sistema economico ne risente, generando un effetto domino che rallenta la crescita e frena l’occupazione.

Un’altra conseguenza è l’aumento della disuguaglianza sociale. Mentre i costi della vita continuano a salire, una fetta sempre più ampia della popolazione fatica ad accedere a beni e servizi essenziali. La stagnazione dei salari colpisce soprattutto i giovani e le famiglie a basso reddito, ampliando il divario tra chi ha maggiori opportunità e chi rischia di rimanere intrappolato in una condizione di precarietà economica.

Possibili soluzioni: quali strategie per risollevare i salari?

Per invertire questa tendenza, è necessario un mix di interventi che agiscano su diversi fronti. In primo luogo, servono politiche per stimolare la produttività, incentivando l’innovazione, gli investimenti tecnologici e la formazione professionale. Solo con un aumento della produttività sarà possibile creare le condizioni per una crescita sostenibile dei salari.

Un’altra leva importante è la riduzione del cuneo fiscale. Abbassare la tassazione sul lavoro permetterebbe di aumentare il reddito disponibile dei lavoratori senza gravare eccessivamente sulle imprese. Alcune misure in questa direzione sono già state adottate, ma servono interventi strutturali e di lungo periodo per rendere il sistema fiscale più competitivo.

Infine, è fondamentale intervenire sulla struttura del mercato del lavoro, favorendo contratti più stabili e garantendo ai lavoratori maggiori opportunità di crescita professionale. Rendere il sistema più meritocratico e orientato allo sviluppo delle competenze potrebbe non solo aumentare gli stipendi, ma anche ridurre la fuga di talenti verso l’estero.

Il bivio dell’Italia
L’Italia si trova oggi davanti a una sfida cruciale. Continuare su questa traiettoria significa accettare un progressivo impoverimento della classe media e un declino del potere economico del Paese. Al contrario, adottare politiche coraggiose per rilanciare la produttività, alleggerire la pressione fiscale e rendere il lavoro più attrattivo potrebbe rappresentare la svolta necessaria per chiudere il divario con gli altri grandi Paesi europei.

I dati Eurostat parlano chiaro: il tempo per agire sta scadendo. L’Italia può ancora invertire la rotta, ma serve una visione di lungo termine e una strategia che metta al centro il valore del lavoro e la crescita economica sostenibile.

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