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Il Mezzogiorno cresce ma l’Italia resta indietro: il nuovo allarme Svimez sul divario europeo

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Il Mezzogiorno cresce ma l’Italia resta indietro: il nuovo allarme Svimez sul divario europeo

FOTO: nella foto, il direttore generale della Svimez, Luca Bianchi

Nel 2024 l’Italia torna a perdere terreno rispetto al resto d’Europa. Secondo l’anticipazione del Rapporto Svimez, il prodotto interno lordo italiano crescerà solo dello 0,7%, in linea con i livelli del 2023 ma al di sotto dell’1% stimato per la media dei Paesi dell’Unione europea. Un dato che rompe il parziale recupero degli ultimi due anni e riapre il gap strutturale con il continente. Si tratta, secondo gli esperti dell’associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno, di un segnale allarmante soprattutto alla luce dell’erosione del potere d’acquisto delle famiglie e di una domanda interna che resta debole.

Il Mezzogiorno cresce ma l’Italia resta indietro: il nuovo allarme Svimez sul divario europeo

La crescita media del Sud nel 2024 si attesterà intorno all’1%, leggermente superiore allo 0,6% del Centro-Nord. Un risultato che rovescia il trend registrato nel 2023, quando il Mezzogiorno era cresciuto dell’1,3% contro l’1,7% del resto del Paese. A guidare questo rimbalzo non sono però i consumi o l’occupazione, ma piuttosto gli investimenti pubblici – in particolare quelli collegati al PNRR – e il boom dell’edilizia. Il valore aggiunto del settore delle costruzioni è salito nel Sud del 4,9%, quasi il doppio rispetto al 2,7% del Centro-Nord. Ma mentre gli investimenti pubblici aumentano – circa 45 miliardi di euro quest’anno, di cui la metà da parte dei Comuni e 12 miliardi riconducibili al PNRR – i consumi nel Sud restano in calo dello 0,1%, mentre nel Centro-Nord crescono dello 0,3%.

Prospettive per il 2025: rallenta il Sud, il Nord accelera

Guardando al 2025, le previsioni indicano un cambio di passo: l’intero Paese dovrebbe crescere dello 0,9%, ma con una nuova inversione tra le aree. Il Sud rallenterebbe allo 0,7%, mentre il Centro-Nord salirebbe all’1%. Un divario che si confermerebbe anche nel 2026, con un’ulteriore frenata per il Mezzogiorno e un progressivo ritorno a ritmi più sostenuti nelle regioni più ricche. In parallelo, il confronto con l’Europa resterà sfavorevole per l’Italia, con l’Ue prevista a +1,5% nel 2025 e +1,8% nel 2026.

Sofferenza del potere d’acquisto e salari sempre più fermi

Sul fronte del reddito reale, Svimez lancia un nuovo grido d’allarme. In Italia i salari non hanno ancora recuperato i livelli precedenti alla crisi del 2013: nel 2024 risultano inferiori del 5,5% rispetto a dodici anni fa. Il Mezzogiorno sconta un’ulteriore penalizzazione, con una perdita dell’8,1%. Un’erosione che colpisce soprattutto i lavoratori a basso reddito e che incide pesantemente sulla capacità delle famiglie di sostenere la domanda. A questo si aggiunge la forte incidenza del lavoro povero e del part-time involontario, concentrati in larga parte proprio nelle regioni meridionali.

Il nodo della politica meridionalista e la tenuta del PNRR

Svimez sottolinea che la crescita del Sud nel 2024 è stata possibile solo grazie a una straordinaria mobilitazione della spesa pubblica. Tuttavia, avverte, senza una strategia chiara e coerente per il dopo-PNRR, il rischio di frenata è altissimo. Tra le priorità indicate vi è il rafforzamento della Zes unica (Zona economica speciale), che potrebbe agire come leva fiscale per attrarre investimenti, ma anche la necessità di una governance efficace e stabile delle politiche territoriali. Le oscillazioni nella gestione dei fondi europei e i continui cambi normativi mettono in pericolo la programmazione e rischiano di depotenziare gli effetti positivi fin qui registrati.

L’urgenza di una svolta strutturale

Il rapporto Svimez 2024 conferma che il Mezzogiorno resta il banco di prova per il rilancio dell’economia nazionale. La sua crescita nel 2024 è stata trainata da fattori esogeni e non da una reale capacità di attivazione autonoma. Per evitare che il Sud torni a essere il grande assente dello sviluppo italiano, occorre investire in una politica industriale territoriale, rafforzare il sistema infrastrutturale, ridurre le diseguaglianze nei servizi essenziali e incentivare il lavoro stabile. Solo così l’Italia potrà chiudere il divario con l’Europa e costruire un modello di crescita sostenibile e inclusiva.
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