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Trump chiude lo shutdown record ma la sfida Obamacare resta

- di: Jole Rosati
 
Trump chiude lo shutdown record ma la sfida Obamacare resta
Trump chiude lo shutdown record ma la sfida Obamacare resta
Dopo 43 giorni di paralisi il governo federale americano riparte. Donald Trump ha firmato la legge di spesa votata dal Congresso, ponendo fine allo shutdown più lungo nella storia degli Stati Uniti. La tregua, però, è solo temporanea: i fondi garantiscono il funzionamento della macchina federale fino al 30 gennaio, mentre lo scontro sui sussidi sanitari legati all’Obamacare resta aperto e rischia di innescare un nuovo duello a ridosso delle elezioni di metà mandato del 2026.

“Non deve succedere mai più”, ha dichiarato il presidente, rivendicando la scelta di firmare il provvedimento ma scaricando la responsabilità del caos sui democratici, accusati di aver cercato lo shutdown per calcolo politico.

Lo sblocco dopo 43 giorni di paralisi

La maratona parlamentare si è chiusa con un voto risicato. Dopo il via libera del Senato, ottenuto grazie ad alcuni senatori democratici che hanno rotto la disciplina di partito, è stata la Camera dei Rappresentanti a dare il colpo di gong definitivo con 222 voti favorevoli e 209 contrari. Sei deputati democratici si sono schierati con i repubblicani per riaprire il governo, limitando i danni di una paralisi che aveva già lasciato il segno su economia, servizi e consenso politico.

La legge firmata da Trump è un provvedimento ponte: assicura risorse fino al 30 gennaio, ma non contiene l’estensione dei sussidi rafforzati per le polizze sanitarie acquistate sulle piattaforme dell’Affordable Care Act. Proprio quella clausola, richiesta con forza dai democratici, era diventata il detonatore di uno shutdown che ha superato il precedente record, fissato a 35 giorni ai tempi del primo mandato di Trump.

Con la firma, Trump prova a presentarsi come l’uomo dell’ordine dopo settimane in cui milioni di cittadini hanno sperimentato sulla propria pelle cosa significa un blocco prolungato della macchina federale. Allo stesso tempo, il presidente difende la linea dura sul fronte sanitario, una delle bandiere storiche del Partito repubblicano.

Lo scontro sui sussidi sanitari e l’Obamacare “disastro”

Al centro del braccio di ferro resta l’Obamacare, la riforma sanitaria che i repubblicani non hanno mai digerito e che Trump continua a dipingere come un fallimento. “L’Obamacare è stato un disastro fin dall’inizio”, ha ribadito, sostenendo che le risorse destinate alle assicurazioni dovrebbero andare “direttamente agli americani”, così da permettere ai cittadini di acquistare in autonomia la propria copertura sanitaria e, nelle sue parole, “diventare manager di se stessi”.

I democratici, dall’altra parte, considerano i sussidi potenziati una ancora di salvezza per la classe media e per i lavoratori a basso reddito. Senza un rinnovo, secondo le stime dei centri di ricerca indipendenti, nel 2026 i premi che molti assicurati pagano di tasca propria potrebbero più che raddoppiare, con aumenti medi nell’ordine del 100 per cento e oltre.

Il nodo politico è semplice ma esplosivo: chi si farà carico del costo della sanità? I democratici vogliono prolungare gli sgravi introdotti negli ultimi anni, spostando il peso sulle finanze federali. I repubblicani denunciano l’ennesimo “assegno in bianco” a favore delle compagnie assicurative e propongono modelli più orientati al mercato, con incentivi diretti agli individui invece che sussidi alle polizze.

Jeffries avverte: “La battaglia è solo all’inizio”

Se la Casa Bianca prova a vendere la riapertura del governo come un ritorno alla normalità, i democratici non intendono deporre le armi. Il leader liberal alla Camera, Hakeem Jeffries, ha scandito che lo scontro sui sussidi sanitari proseguirà nelle prossime settimane. “La nostra battaglia è solo all’inizio”, ha avvertito, lanciando un messaggio diretto ai repubblicani.

Secondo Jeffries, l’eventuale mancato rinnovo degli aiuti rischia di trasformarsi in un boomerang elettorale per il Grand Old Party: “Se bloccheranno i sussidi, saranno gli elettori a cacciare i repubblicani dai loro incarichi”, ha previsto, guardando già alle elezioni di midterm del 2026. Il ragionamento è semplice: milioni di famiglie si troverebbero a pagare premi molto più alti per assicurazioni spesso obbligate, e difficilmente dimenticherebbero a chi attribuire il conto.

Le proiezioni di analisti e think tank indicano che, senza un intervento del Congresso, i premi sul mercato delle polizze individuali potrebbero aumentare in media di oltre il 100 per cento rispetto ai livelli garantiti oggi dai crediti d’imposta potenziati. Per molti iscritti significherebbe centinaia, se non migliaia di dollari in più ogni anno per mantenere una copertura adeguata.

Effetti concreti: stipendi fermi, aeroporti in affanno, buoni pasto a rischio

La fine dello shutdown non cancella i danni accumulati in quasi sei settimane di blocco. Centinaia di migliaia di dipendenti federali hanno lavorato senza stipendio o sono stati sospesi, in attesa degli arretrati. Molti hanno dovuto ricorrere a prestiti, risparmi e aiuti delle associazioni per pagare affitti, mutui e spese quotidiane.

Il settore più esposto è stato quello dei trasporti. Turni saltati e personale ridotto tra controllori di volo e addetti alla sicurezza hanno provocato ritardi e cancellazioni, in particolare nei grandi hub della costa Est. Con la riapertura, il Dipartimento dei Trasporti punta a rimuovere gradualmente i limiti imposti al traffico aereo, evitando il temuto caos nelle ore di punta e nei giorni delle festività del Ringraziamento. Ma il ritorno alla piena operatività richiederà tempo: accumuli di ferie forzate, straordinari non pagati e turnazioni d’emergenza hanno stressato un sistema già fragile.

Non meno delicata è la questione dei buoni pasto federali, da cui dipendono circa 42 milioni di americani. Lo stop dei finanziamenti e l’incertezza sulle risorse disponibili hanno costretto le autorità a gestire con il contagocce i pagamenti del programma, generando allarme tra le famiglie più vulnerabili e sovraccaricando le banche alimentari, già provate dall’aumento del costo della vita.

Gli economisti stimano che uno shutdown così prolungato abbia un impatto misurabile sul Pil statunitense, non solo per le settimane di fermo, ma anche per la perdita di fiducia di imprese e consumatori. In passato, chiusure più brevi hanno prodotto miliardi di dollari di danni permanenti; è verosimile che il conto di questa nuova crisi sarà ancora più salato.

Un record che pesa sulla credibilità delle istituzioni

Con i suoi 43 giorni, la paralisi appena archiviata supera il precedente primato dei 35 giorni di chiusura registrato tra il 2018 e il 2019, sempre sotto Trump, allora per un braccio di ferro sul muro al confine con il Messico. Negli ultimi decenni gli Stati Uniti hanno conosciuto vari shutdown, ma mai con questa frequenza e di tale durata: da eccezione, il blocco del governo è diventato strumento ricorrente di lotta politica.

La differenza, questa volta, è che il nodo al centro dello scontro non è un’opera infrastrutturale o una singola partita di bilancio, ma l’architettura stessa del welfare sanitario americano. La domanda di fondo è se lo Stato debba continuare a sostenere in modo massiccio i costi delle polizze private o se sia arrivato il momento di ridurre il perimetro dell’intervento pubblico, lasciando che il mercato e le finanze individuali assorbano una parte maggiore della spesa.

Intanto, il ripetersi di lunghi shutdown minaccia la credibilità internazionale degli Stati Uniti: partner e investitori vedono un sistema politico che non riesce a garantire nemmeno la continuità dei propri servizi essenziali. Ogni crisi di bilancio riaccende timori su rating, debito e capacità di Washington di onorare i propri impegni.

La strategia di Trump: chiudere il fronte shutdown, aprire quello sanitario

Dal punto di vista politico, la mossa di Trump è un tentativo di cambiare campo di battaglia. Chiudendo lo shutdown, il presidente prova a togliere ai democratici l’argomento dei dipendenti senza stipendio e dei servizi bloccati. Ma lascia volutamente irrisolto il nodo dei sussidi Obamacare, convinto che il terreno sanitario possa mobilitare la base conservatrice e mettere all’angolo i rivali.

La Casa Bianca continuerà a dipingere gli avversari come il partito della spesa incontrollata e delle “regalie” alle assicurazioni. I democratici risponderanno presentandosi come i difensori delle famiglie che rischiano di vedere esplodere i costi delle polizze. Sullo sfondo, milioni di elettori che, tra qualche mese, riceveranno le nuove comunicazioni di premio per il 2026 e dovranno fare i conti con cifre sensibilmente più alte se il Congresso non troverà un’intesa.

Il calcolo di Trump è rischioso: se un nuovo stallo sui sussidi dovesse portare a un altro shutdown a inizio anno, il presidente si troverebbe ad affrontare la campagna per le midterm del 2026 con l’etichetta dell’ennesimo blocco record sulle spalle. Jeffries e i democratici, al contrario, puntano a convincere l’opinione pubblica che lo shutdown appena concluso sia solo l’anteprima di ciò che accadrà se i repubblicani continueranno a usare il bilancio federale come terreno di scontro ideologico sulla sanità.

Prossima scadenza: il 30 gennaio

Il calendario è già segnato in rosso: 30 gennaio. Entro quella data Casa Bianca e Congresso dovranno trovare un compromesso su spesa pubblica e sussidi sanitari. Sul tavolo ci sono varie ipotesi: una proroga integrale dei crediti d’imposta potenziati, una soluzione di compromesso con un’estensione parziale, oppure un rinvio tecnico che rimandi ancora una volta la decisione finale.

Gli operatori sanitari, le compagnie di assicurazione e i mercati guardano con apprensione alle prossime settimane. Ogni giorno in più di incertezza rende più difficile per le famiglie scegliere una polizza e per le aziende programmare investimenti e assunzioni. Nel frattempo, i cittadini che hanno appena tirato un sospiro di sollievo per la fine dello shutdown sanno che la quiete potrebbe essere solo apparente. 

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