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Stablecoin, minaccia globale: la finanza rischia una nuova crisi

- di: Bruno Legni
 
Stablecoin, minaccia globale: la finanza rischia una nuova crisi
La Banca d’Italia lancia l’allarme: risparmi in pericolo, sovranità monetaria a rischio, sistema dei pagamenti destabilizzato. Cresce il pericolo di una “dollarizzazione digitale” dell’Europa.

L’illusione della stabilità digitale: le stablecoin al centro del rischio sistemico

Si chiamano “stablecoin”, e il nome stesso è una promessa: monete digitali stabili, rassicuranti, ancorate a valute tradizionali o asset reali. Un ponte tra l’economia classica e la galassia delle criptovalute, presentato come una soluzione per i pagamenti globali, rapidi e sicuri. Ma dietro questa apparente affidabilità si nasconde una minaccia sempre più concreta alla stabilità finanziaria globale. Lo afferma con nettezza la vice direttrice generale della Banca d’Italia, Chiara Scotti, che ha lanciato un nuovo allarme in audizione alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario: “Le stablecoin, se non regolamentate, possono mettere in ginocchio l’intero sistema finanziario europeo”.

Cosa sono davvero le stablecoin

Le stablecoin sono una forma di criptovaluta progettata per avere un valore stabile. A differenza di Bitcoin o Ethereum, che oscillano continuamente sui mercati, queste monete digitali sono ancorate — “pegged”, in gergo tecnico — a un asset di riferimento, come il dollaro statunitense, l’euro, l’oro o un paniere di valute. L’idea è semplice: offrire i vantaggi della tecnologia blockchain (velocità, tracciabilità, decentralizzazione) con la stabilità tipica delle valute fiat. In teoria, un utente dovrebbe poter riscattare una stablecoin ricevendo esattamente il valore equivalente in valuta reale. In pratica, però, il meccanismo si basa su riserve gestite da soggetti privati, non sempre trasparenti o solidi.

Il nodo: la quasi totale dipendenza dal dollaro

Secondo Scotti, il 99,9% delle stablecoin circolanti è ancorato al dollaro statunitense. Questo significa che milioni di transazioni digitali in Europa — oggi ancora limitate, ma in rapida espansione — si basano di fatto sulla valuta americana. “È una larvata dollarizzazione dell’economia europea – ha dichiarato – che rischia di spiazzare i nostri strumenti di pagamento tradizionali, dalle banconote alle carte, con conseguenze gravi in caso di shock”. In altri termini: se gli utenti perdessero fiducia nelle piattaforme che gestiscono le stablecoin, si potrebbe verificare un effetto domino simile a quello visto nelle grandi crisi bancarie. Solo che, stavolta, non ci sarebbero sportelli da chiudere, né banche centrali da poter chiamare in soccorso in tempo utile.

La minaccia è reale: rischio panico e corse ai rimborsi

Lo scenario più temuto è quello di una corsa collettiva al riscatto delle stablecoin, simile a quanto avvenne nel 2008 con i conti correnti delle banche americane o nel 1931 con le riserve auree europee. “In caso di stress sui mercati – ha spiegato Scotti – gli utenti potrebbero tentare in massa di convertire le loro monete digitali, ma trovare le riserve prosciugate. Il risultato sarebbe panico, perdita di fiducia e danni incalcolabili ai risparmiatori”.

Una finanza senza regole? Il pericolo arriva dagli USA

La situazione si complica ulteriormente con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Il presidente americano ha più volte elogiato le criptovalute come “strumenti della libertà finanziaria” e ha ribadito la propria contrarietà a una regolamentazione federale severa. In un comizio tenuto a Tampa, Trump ha dichiarato: “Le stablecoin sono l’oro digitale del futuro. Non permetterò a nessuno di fermare questa rivoluzione americana”. Un atteggiamento che rischia di isolare l’Europa, costretta a difendersi da sola.

In caso di crisi, i detentori di stablecoin negli Stati Uniti potrebbero aggirare le commissioni di riscatto usando emittenti europei, prosciugando le riserve e lasciando i clienti UE senza protezione.

La risposta europea: euro digitale e regolazione immediata

La vice dg di Bankitalia è chiara: “L’unica strada è quella dell’euro digitale, affiancato da una regolamentazione forte, omogenea e tempestiva a livello europeo”. Il progetto della BCE è in corso, e la decisione formale dovrebbe arrivare entro la fine del 2025. Ma per entrare nella fase operativa servirà anche il via libera dell’Europarlamento. “Invito i legislatori italiani a fare pressione affinché il processo venga accelerato – ha dichiarato Scotti – per garantire ai cittadini pagamenti sicuri, garantiti e realmente europei”.

Il rischio, altrimenti, è quello di ritrovarsi nella posizione dei paesi in via di sviluppo, che già oggi subiscono la cosiddetta “dollarizzazione digitale” — l’uso massiccio di stablecoin statunitensi per pagamenti quotidiani in mancanza di valute locali forti. Come sottolineato da un report internazionale, “la penetrazione incontrollata delle stablecoin nei paesi sviluppati rischia di creare una dipendenza strutturale da entità esterne, indebolendo il ruolo delle banche centrali e aprendo scenari di instabilità finanziaria prolungata”.

Cina avanti tutta, Europa in ritardo

Nel frattempo, la Cina corre. Il suo yuan digitale è già in fase avanzata, con oltre 500 miliardi di yuan scambiati nel primo semestre del 2025. I pagamenti digitali pubblici, sotto il controllo diretto della banca centrale, sono diventati la norma in molte province. E lo yuan digitale è già utilizzato per transazioni transfrontaliere con Africa, Sud-est asiatico e Medio Oriente.

Secondo autorevoli analisi, “l’Unione Europea rischia di restare schiacciata tra un’America finanziariamente anarchica e una Cina iper-controllata, priva però di un proprio asse digitale autonomo”.

L’illusione della neutralità tecnologica

Il dibattito sulle stablecoin svela una verità spesso rimossa: la tecnologia non è mai neutrale. Ogni protocollo di pagamento, ogni infrastruttura finanziaria è una scelta politica. E quando la politica resta ferma, come sta facendo oggi l’Europa, il vuoto viene colmato da soggetti privati o potenze esterne. “Non si tratta solo di criptovalute – ha scritto un autorevole settimanale economico – ma del futuro della sovranità monetaria. L’UE ha bisogno di reagire ora, o pagherà un prezzo altissimo”.

Serve uno scatto immediato, prima che sia troppo tardi

In conclusione, il rischio di una nuova crisi globale non viene più dai mutui subprime o dai derivati opachi, ma da una finanza invisibile e non regolata, in cui i risparmiatori sono lasciati soli e i mercati poggiano su fondamenta private e opache. Le stablecoin, se lasciate libere di espandersi senza regole comuni, possono davvero rappresentare la miccia di una nuova crisi sistemica. E stavolta, potrebbe non esserci nessun “Whatever it takes” a salvarci.

Chiara Scotti ha ragione: il tempo per i dibattiti è finito. Servono decisioni, servono strumenti. Soprattutto, serve un’Europa che torni a credere nella propria moneta. Anche – e soprattutto – in versione digitale.

 
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