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California sfida Trump: la crepa che minaccia l’unità americana

- di: Bruno Coletta
 
California sfida Trump: la crepa che minaccia l’unità americana

La più grande economia statunitense - e la quinta al mondo - si ribella alle politiche federali, aprendo un fronte che scuote le fondamenta dell’unione.

(Foto: il Governatore della California, Newsom, con il Capo dello Stato italiano, Mattarella)
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La data è il 16 aprile 2025, ma l’eco di questo scontro potrebbe farsi sentire per anni. La California ha infatti deciso di portare in tribunale l’amministrazione Trump per contrastare un’ondata di decisioni federali giudicate incostituzionali, autoritarie e lesive del principio stesso di rappresentanza democratica. Al centro dello scontro c’è l’imposizione di dazi commerciali su beni importati dall’Asia e dall’America Latina, che colpiscono duramente alcuni dei settori strategici della Golden State: agroalimentare, tecnologia e manifattura ad alta intensità di export.
La Casa Bianca sta minando il nostro futuro economico e la stabilità delle famiglie californiane”, ha tuonato il governatore Gavin Newsom durante una conferenza stampa tenuta in una piantagione di mandorle nella Central Valley. “Non possiamo restare a guardare mentre Washington distrugge decenni di progresso”, ha aggiunto Rob Bonta, procuratore generale dello Stato. L’atto di citazione, depositato presso la Corte Distrettuale del Nord della California, contesta l’abuso dell’International Emergency Economic Powers Act, una norma nata per reagire a gravi minacce alla sicurezza nazionale e oggi usata da Trump come grimaldello per scavalcare il Congresso e gestire a piacimento la politica commerciale.
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Il quinto Stato più ricco del mondo non vuole essere governato come il Mississippi
Il punto, tuttavia, va ben oltre i dazi. Il cuore della battaglia è politico, costituzionale e perfino identitario. La California non è un qualunque Stato dell’unione: con un PIL di 3.900 miliardi di dollari nel 2023, rappresenta la quinta economia mondiale, superando Regno Unito, India e Francia. Da sola produce il 15% del Pil americano, ospita Silicon Valley, Hollywood, le centrali universitarie di Stanford e Berkeley, ed è patria di oltre 200 miliardari. Al suo confronto, persino la florida Florida sembra periferia.
“Non accetteremo mai che le nostre politiche ambientali, sanitarie e sociali siano riscritte da un’amministrazione radicale che stravolge ogni principio di decenza democratica”, ha dichiarato Newsom al Los Angeles Times. La tensione è palpabile. E se oggi si parla di ricorsi legali, domani qualcuno potrebbe iniziare a ventilare ipotesi ben più radicali.
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Un divorzio che agita anche i mercati
La reazione non si è fatta attendere. A Wall Street l’annuncio del ricorso ha alimentato timori di una crisi istituzionale più profonda. Il Nasdaq, dove pesano fortemente le tech californiane, ha perso l’1,8% nella giornata successiva, con un’impennata nella volatilità delle imprese agricole e manifatturiere. “Gli investitori temono che si possa arrivare a una vera paralisi decisionale tra Stato e Federazione”, ha spiegato l’economista Alicia Miller di Barclays Capital.
Lo scontro coinvolge anche il settore ambientale. La California, infatti, ha già impugnato il nuovo decreto federale che abolisce i vincoli alle emissioni per le auto elettriche.Trump ci vuole riportare all’epoca del carbone, ma qui la rivoluzione verde non si ferma”, ha affermato la deputata Alexandria Ocasio-Cortez in visita a San Jose. Una nuova alleanza tra progressisti della East Coast e potenze economiche della West Coast sta prendendo forma.
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Una faglia nella democrazia americana
Da mesi, la California non è sola. Anche New York, Illinois e Massachusetts stanno valutando azioni congiunte, in un crescendo che ricorda, per alcuni analisti, il clima prebellico degli anni ‘50 dell’Ottocento. “La differenza è che oggi il conflitto è istituzionale, non militare. Ma è comunque una guerra per l’anima dell’America”, ha commentato il costituzionalista Laurence Tribe.
Lo scenario che si sta profilando è quello di una federazione frammentata, in cui i grandi Stati ricchi e progressisti non riconoscono più la legittimità delle politiche imposte da un governo centrale dominato da una minoranza elettorale ma egemone grazie al meccanismo del collegio elettorale e a una Corte Suprema saldamente in mano ai conservatori. Un sistema, sempre più evidente, pensato per bloccare il cambiamento.
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L’inizio di un’era post-federale?
La domanda, ora, è se siamo davanti a una svolta storica. La frattura tra Stati e governo federale si sta consolidando su molti fronti: diritti civili, giustizia sociale, ambiente, economia. In gioco c’è l’essenza stessa dell’identità americana: una repubblica di Stati liberi o una macchina centralizzata sempre più autoritaria?
Trump ha scelto il confronto permanente come strategia di governo. Ma ha sottovalutato che la California non si inginocchia davanti a nessuno”, ha dichiarato l’ex speaker Nancy Pelosi. Una frase che oggi suona come un avvertimento. Perché ogni impero, anche quello americano, può iniziare a sgretolarsi da una crepa. E questa crepa ha un nome preciso: California.


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