Biancaneve senza nani e senza principe

- di: Barbara Bizzarri
 
Diverte notare come una certa sottocultura, perché non è possibile definire altrimenti il delirio propagandistico woke, voglia a tutti i costi cancellare quello che è stato senza la capacità di prenderne atto a livello storico per poi trarne delle lezioni e andare avanti, e che, però, non faccia nulla per cancellare quelli che sono stati effettivamente gli obbrobri del passato, come nel caso degli USA. A questo punto sarebbe interessante una rilettura di Pocahontas, per dire, e soprattutto cercare di rimediare agli errori che sono stati commessi in secoli di eccidio programmato dei Nativi Americani, in particolare, graziando magari Leonard Peltier, detenuto senza prove da quarant’anni senza che gli sia mai stato consentito di rivedere la sua posizione, ad eterno monito delle tribù native e del fatto che, qualsiasi cosa accada nelle riserve, la colpa resta comunque loro. Ma non divaghiamo (troppo): concentriamoci sulla mia memoria da pesce rosso, grazie alla quale l’unica modifica che ricordavo a un grande classico delle fiabe per l’infanzia era il celebre ‘Biancaneve e i 7 negri’ citato in ‘Caro Diario’, ma sono certa che lo scempio annunciato da Disney sarà una porcata peggiore: nel live action in uscita l’anno prossimo, Biancaneve è mulatta (la colombiana Rachel Zegler), il che rende inutile perfino il suo nome, la matrigna è bellissima (con le fattezze di Gal Gadot non ci vuole molto, e difatti non si capisce perché dovrebbe rosicare tanto da avvelenare la figliastra), i nani non esistono e sono sostituiti da non meglio precisate presenze fatate ‘di ogni etnìa’, e il principe è superfluo perché “Biancaneve si salva da sola”, quasi al livello dei più banali e smielati proclami da social, sempre rigorosamente a firma di Oscar Wilde e Jim Morrison, che più che rivoltarsi, ormai centrifugano nella tomba. 

Biancaneve rivista per il politically correct
 
L’unica scusa che può avere la multinazionale capace in un solo colpo di distruggere tutto ciò che di buono ha fatto nel secolo scorso, è aver inventato un’altra storia e promuoverla sfruttando l’appeal pubblicitario dei fratelli Grimm. Oltretutto, la sceneggiatura è stata scritta da Greta Gerwig, regista di 'Barbie' e di 'Piccole donne', e in quest’ultimo caso non le si possono perdonare le licenze, talvolta esageratamente forzate, per ‘modernizzare’ un’opera sopravvissuta per secoli senza il suo intervento. Le fiabe hanno sempre avuto un intento educativo, tanto da essere popolate da mostri di ogni tipo: matrigne senza cuore (Cenerentola), padri potenzialmente incestuosi (Pelle d’asino), famiglie quasi sempre distrutte (Raperonzolo), draghi e streghe: servono a far capire che il male esiste e si deve combattere, preferibilmente guardandolo bene in faccia. Le riedizioni sbianchettate, rivedute e corrette, cosa possono insegnare, che vivere è facile e non esiste alcun pericolo? Non è un granché come scambio, dato che i suicidi tra giovanissimi sono in aumento. La smania di rovinare le storie per bambini con la scusa di edulcorarle e renderci tutti più buoni e inclusivi, hanno la conseguenza di rendere le fiabe più triviali, più squallide, più tristi. Quasi sicuramente per Disney finirà come per Budweiser, crollata a picco dopo l’ennesimo, improbabile messaggio di cui ormai si hanno le tasche piene, perché anche la torsione più palese dopo un po’ viene a noia: la triste sorte di Strange World dovrebbe aver insegnato loro qualcosa, ma evidentemente hanno introiettato il messaggio beckettiano del ‘fallisci meglio’. Il punto è: vale la pena di parlare di tutto ciò? Vale la pena dare spazio a queste dimostrazioni di cecità culturale, ma soprattutto, vale ancora la pena aspettare l’uscita dei film Disney su qualsiasi mezzo a disposizione, oppure non sarebbe meglio vederli naufragare da lontano come la gatta Jenny coi suoi piccoli quando sono scappati dal Titanic? Ecco, la prossima volta fate un live action su questa storia, cari Disney Studios, prima che Walt torni a chiedere le vostre teste. 
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