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È morta Anna Laura Braghetti, la donna che custodì Aldo Moro

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
È morta Anna Laura Braghetti, la donna che custodì Aldo Moro

È morta Anna Laura Braghetti, 72 anni. Un nome che riporta l’Italia a una stagione che non passa mai davvero: quella delle Brigate Rosse, del piombo e delle illusioni, dei giovani che credettero di poter rifondare la democrazia con la violenza.

È morta Anna Laura Braghetti, la donna che custodì Aldo Moro

Braghetti non fu una militante qualunque. Fu la donna che custodì Aldo Moro nella casa di via Montalcini, a Roma, per 55 giorni, mentre la politica, il suo partito e il Paese intero assistevano, impotenti, al più grande trauma della nostra storia repubblicana.

La casa di via Montalcini, simbolo della tragedia italiana
Quella casa, in un quartiere qualunque, è diventata un simbolo del dramma nazionale.
Fu lei a prenderne l’intestazione, a fingere una normalità quotidiana mentre dietro le tende era prigioniero l’uomo che più di ogni altro aveva cercato un compromesso politico tra mondi inconciliabili: la Democrazia cristiana e il Partito comunista.
Braghetti, impiegata nella vita civile, brigatista in quella clandestina, rappresenta la banalità del male in versione italiana, una donna normale trascinata — e trascinante — dentro la convinzione che la rivoluzione potesse giustificare tutto, anche la morte.

Dalla clandestinità al carcere
Dopo la fine del sequestro Moro, Braghetti rimase nella colonna romana delle BR.
Nel 1980 partecipò all’omicidio di Vittorio Bachelet, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, cattolico mite e vicino alla corrente di Moro. Fu arrestata poco dopo e condannata all’ergastolo, passando oltre vent’anni in carcere.
Nel 2002 ottenne la libertà condizionale, dopo un lungo percorso di detenzione e silenzio.

Scrisse un libro, Il prigioniero, insieme a Paola Tavella. È il suo racconto della prigionia di Moro, non come pentimento, ma come testimonianza quasi clinica di una vita vissuta dentro un inganno: quello di poter cambiare la società cancellandone le regole.
È un libro freddo, quasi privo di emozione. Ma proprio per questo lascia un gelo duraturo, perché mostra l’abisso tra ideologia e umanità.

La generazione che pensò di rifare il mondo
Anna Laura Braghetti apparteneva a una generazione che aveva creduto di poter riscrivere la storia.
Era l’Italia uscita dal Sessantotto, quella dei movimenti, delle assemblee, della rabbia verso un potere percepito come immobile e corrotto.
Ma molti, in quella generazione, non si accorsero di quando la ribellione smise di essere politica e diventò una guerra.
Le Brigate Rosse nacquero in quell’illusione: pensavano di rappresentare il popolo, ma finirono per essere il suo contrario.

Braghetti, come tanti altri, attraversò quel confine e lo pagò per tutta la vita.
Il suo volto, impassibile, diventa ancora oggi il simbolo di un tempo in cui l’Italia smarrì se stessa, incapace di distinguere giustizia da vendetta, lotta da sopraffazione.

Una memoria difficile, ma necessaria
La sua morte non chiude nulla.
Ogni volta che uno dei protagonisti di quella stagione se ne va, il Paese sembra tirare un sospiro di sollievo, come se sparisse anche un pezzo del dolore collettivo.
Ma non è così. La vicenda di Anna Laura Braghetti ricorda che la Repubblica è nata e cresciuta anche attraverso le sue ferite.
E che quelle ferite — Moro, Bachelet, D’Antona, Biagi — non si cancellano con la rimozione, ma con la memoria.

Non serve assolvere, né condannare di nuovo.
Serve capire come sia stato possibile che un Paese democratico abbia generato figli che credevano di salvarlo distruggendolo.
Anna Laura Braghetti è stata uno di quei figli.
E la sua morte, oggi, ci restituisce l’immagine di un’Italia che ha conosciuto l’abisso, e che da quell’abisso, con fatica, ha provato a tornare a vivere.

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