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Capitali in fuga: come cambia la mappa dei paradisi fiscali nel nuovo ordine globale

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Capitali in fuga: come cambia la mappa dei paradisi fiscali nel nuovo ordine globale
Il mondo dell’evasione fiscale sta cambiando pelle. Dove un tempo dominavano le Alpi svizzere e i Caraibi opachi, oggi emergono i grattacieli hi-tech di Dubai e le vetrate trasparenti dei distretti finanziari di Singapore. Queste due città-Stato, una nel cuore del Golfo e l’altra nel Sud-est asiatico, sono diventate il punto di arrivo di una nuova generazione di capitali mobili, alla ricerca non solo di vantaggi fiscali, ma anche di stabilità geopolitica, digitalizzazione dei servizi bancari e anonimato “compatibile” con gli standard Ocse.

Capitali in fuga: come cambia la mappa dei paradisi fiscali nel nuovo ordine globale

Se gli Emirati Arabi e Singapore avanzano, altre giurisdizioni perdono terreno. La Svizzera, una volta sinonimo di segretezza, ha ceduto alle pressioni internazionali accettando lo scambio automatico di informazioni finanziarie. Le Isole Vergini Britanniche, così come le Cayman, pagano oggi il conto delle blacklist europee e delle sanzioni che ne limitano l’operatività con le grandi banche occidentali. In questo scenario, il confine tra paradiso fiscale e centro finanziario “legittimo” si fa più sfumato, ma anche più sorvegliato.

Pressioni internazionali e nuove alleanze

La crescente cooperazione internazionale in materia fiscale ha mutato i parametri del gioco. Da anni l’Ocse promuove il Common Reporting Standard, un protocollo di condivisione automatica delle informazioni finanziarie adottato da oltre 100 Paesi. Chi si chiama fuori rischia l’isolamento. Ma la pressione ha avuto anche un effetto collaterale: ha spinto alcuni capitali verso mete “compliance friendly”, ma ancora poco regolamentate nei dettagli operativi. È qui che si innestano le nuove rotte verso Dubai, Singapore e Hong Kong, che offrono regimi fiscali agevolati senza finire, almeno per ora, nel mirino diretto delle autorità europee o statunitensi.

Le implicazioni per l’Italia

L’Italia, storicamente colpita dall’esportazione illegale di capitali, osserva con attenzione i movimenti in corso. L’Agenzia delle Entrate, potenziata dagli accordi di cooperazione internazionale, è riuscita a recuperare miliardi di euro negli ultimi anni. Ma il nuovo volto dell’evasione, fatto di società schermate in Asia e conti smart nei Paesi del Golfo, impone un aggiornamento degli strumenti investigativi. Serve, inoltre, un’azione politica più incisiva per evitare che la pressione fiscale interna continui ad alimentare la fuga di risorse.

Un futuro di opacità regolata?


Il paradosso del nuovo ordine fiscale globale è che l’opacità non è più totale, ma regolata. Le nuove destinazioni dell’evasione giocano con le maglie larghe delle normative internazionali, offrendo ai clienti garanzie legali ma anche flessibilità operativa. Si tratta di un sistema ibrido, dove trasparenza e discrezione convivono grazie a tecnologie avanzate, accordi selettivi e l’assenza di sanzioni significative. In questo scenario, la battaglia contro l’evasione non può più limitarsi alla repressione: deve affrontare le nuove logiche dell’economia globale, rivedere la fiscalità nazionale e interrogarsi su come trattenere ricchezza e investimenti in casa.
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