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La sparuta pattuglia di Di Maio è, purtroppo per Conte, un piccolo esercito

- di: Redazione
 
La sparuta pattuglia di Di Maio è, purtroppo per Conte, un piccolo esercito
Fermo restando che la notte non sempre porta consiglio o serve a chiarire le idee, il numero dei parlamentari che seguirà Luigi Di Maio nella diaspora - l'ennesima - da casa Cinque Stelle potrebbe toccare quota 60 (sessanta, lo scriviamo anche in lettere, per evitare dubbi o fraintendimenti). Quindi molto più di quanto dicevano o temevano gli ortodossi contiani, forse convinti che la rivolta del ministro degli Esteri avrebbe avuto effetti meno deflagranti. Eppure così è stato, perché, alla fine, in molti hanno pensato che per loro la permanenza in parlamento in un movimento ad alto tasso di eterodirezione (ormai tutti ci mettono la bocca: da Grillo a Travaglio e Di Battista) fosse troppo rischiosa.

I parlamentari che potrebbero seguire Di Maio nella sua uscita dal M5S potrebbe toccare quota 60

Le motivazioni dello strappo sono arcinote e riportano al diverso approccio che le due anime grilline hanno (oggi bisogna cambiare tempo: avevano) verso la questione Ucraina, anche se alla fine, come forse era scontato, la minacciata mozione dei Cinque Stelle di Conte contro l'invio delle armi s'è ridimensionata cammin facendo, a conferma che il decisionismo dei grillini, sbandierato solo alzando la voce, spesso è un modo per sentirsi presenti nel dibattito politico.
Ma il difficile arriva oggi, per Conte e per Di Maio, anche se partendo da punti diversi.

Giuseppe Conte ora, guardandosi in casa, dovrà cercare di capire come sia stato possibile ridurre numericamente in questa misura la schiera dei Cinque Stelle e magari interrogarsi se quelli che sono andati via hanno tutti torto oppure qualcosa nel suo comportamento li abbia determinati, anzi obbligati a lasciare. Comportamento suo e anche di chi gli sta accanto perché certe colpe appaiono frutto di un verticismo che non t'aspettavi mai nel partito dell'uno vale uno. A meno che quest'uno non abbia in mano le leve di comando dell'intera comunicazione del movimento, gestendo un potere enorme e senza interlocutori. Il potere, come l'aria rarefatta d'alta montagna, fa strani effetti e quel che resta dei Cinque Stelle oggi deve confrontarsi con i numeri, che ne certificano un lento, ma non certo irreversibile, processo di estinzione.

Ma anche per Di Maio, passata l'euforia nel guardare in quanti lo hanno seguito, deve arrivare il momento della riflessione (anche se, per quel poco che di lui si conosce, è certo che l'esodo non sia stato pensato ed attuato nel giro di poche ore). Perché la scissione certamente lo indebolisce nei confronti del governo, di cui ha fatto parte sino ad oggi non per pleclare virtù personali, ma in quanto espressione della leadership dei Cinque Stelle, dapprima personale e poi come partito.

Oggi, senza l'ombrello del movimento e forte solo della sua posizione personale, Luigi Di Maio ha davanti a sé momenti delicati perché ogni suo gesto, ogni sua iniziativa, ogni singola parola sarà, per i Cinque Stelle, occasione per impallinarlo, per sbatterlo in prima pagina, come già accade nel giornale-partito che si è schierato, senza tentennamenti, accanto a Conte e ora dice, sul ministro degli Esteri, di tutto e di più.
C'è poi da aspettarsi anche - dal momento che la riconoscenza non è di questa Terra - che qualcuno di quelli che, sino a ieri l'altro, ambivano ad andare in giro sui marmi del Transatlantico, vantandone l'amicizia, userà il termine ''bibitaro'' sino ad oggi proprietà esclusiva dei denigratori di Luigi Di Maio.

Ma la politica è questo e se è vero che, in questi anni, Di Maio ha imparato a padroneggiarla, potrebbe non risentire affatto di quel che lo aspetta già tra poche ore.
Domani tutte le vecchie beghe personali verranno a galla e questo potrebbe anche essere un bene per i Cinque Stelle che hanno vissuto, anche se mai lo ammetteranno (loro che menavano vanto di non avere correnti), un antagonismo esasperato che ora torna in superficie di acque limacciose, A Roberto Fico, campano come Di Maio, forse non sarà sembrato vero vedere il ministro degli Esteri andare via, lasciandogli campo libero nella regione o, forse, alla Regione.

Ipotesi forse fantasiose (ma la politica è anche questo), sulle quali è bene spendere un sorriso, in questo momento tetro per il movimento. Al quale, comunque, non fa mancare il suo commento Alessandro Di Battista che, dalla Russia, dove è per un reportage, per scrivere un libro ed articoli, per parlare con la gente, per sentire anche l'altra campana, per comprendere il sentimento della popolazione (e ci fermiamo qui, perché l'armamentario di luoghi comuni è ancora lungo), ha fatto sentire il suo pensiero, che è stato lapidario, bollando la diaspora come un ''ignobile tradimento'', dicendo ai suoi ex compagni di partito: ora avete capito perché me ne sono andato?

Come a dire: io quel Di Maio non l'ho mai sopportato, dimenticando inequivocabili foto cheek to cheek, mano nella mano, occhi negli occhi. Ma la memoria, si sa, può giocare brutti scherzi e quindi fare rimangiare tutto il peggio che si è detto sul proprio partito e sugli avversari del momento, sperando che la gente se lo scordi.
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