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Dal Cdm stretta sull’IVA dei dati: conto salato per le piattaforme digitali

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Dal Cdm stretta sull’IVA dei dati: conto salato per le piattaforme digitali

Le grandi piattaforme digitali che operano nel mercato italiano si preparano a dover affrontare un doppio fronte fiscale destinato ad avere un forte impatto economico. Da un lato, l’Agenzia delle Entrate sta notificando pesanti avvisi di accertamento basati sull’ipotesi che l’uso dei dati degli utenti da parte di queste piattaforme configuri un’operazione imponibile ai fini IVA. Dall’altro, sul piano europeo, la recente approvazione del pacchetto normativo “VAT in the Digital Age” (ViDA) stabilisce nuove regole che costringeranno le piattaforme a farsi carico direttamente dell’imposta nei rapporti con utenti e fornitori.

Dal Cdm stretta sull’IVA dei dati: conto salato per le piattaforme digitali

L’iniziativa italiana parte da un’interpretazione innovativa e molto discussa della disciplina fiscale. Secondo l’impostazione dell’Agenzia delle Entrate, l’atto della registrazione da parte degli utenti e la successiva profilazione per fini commerciali configurerebbero uno scambio economico: le piattaforme, in sostanza, acquisirebbero dati personali e comportamentali che hanno un valore di mercato, e in cambio fornirebbero l’accesso a servizi digitali. Questo scambio, per il fisco, è soggetto a IVA in quanto costituisce una prestazione di servizi a titolo oneroso, sebbene non avvenga un reale passaggio di denaro. I primi destinatari degli avvisi sono alcuni dei principali colossi del web come Meta, LinkedIn e X (ex Twitter).

Parallelamente, sul fronte normativo europeo, è stato recentemente approvato in via definitiva il pacchetto ViDA, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione il 25 marzo scorso. Questo pacchetto rappresenta il tentativo dell’Unione Europea di aggiornare il sistema dell’imposta sul valore aggiunto alle trasformazioni radicali dell’economia digitale. Tra le misure principali, spicca l’obbligo per le piattaforme di diventare soggetti responsabili del pagamento dell’IVA per le attività di locazione breve di immobili e di trasporto passeggeri che facilitano. In pratica, a partire dal 1° gennaio 2030, le piattaforme diventeranno sostituti d’imposta, dovendo riscuotere e versare direttamente l’IVA per conto dei soggetti che offrono i servizi attraverso i loro canali e che non adempiono all’obbligo fiscale.

A tutto questo si aggiunge la possibilità che anche l’Italia, in futuro, recepisca formalmente nel proprio ordinamento interno l’orientamento dell’Agenzia delle Entrate sul valore fiscale dei dati, ampliando di fatto il perimetro delle operazioni imponibili. Il rischio, per le piattaforme, è quello di trovarsi a gestire non solo la complessità normativa europea ma anche l’incertezza interpretativa e l’aumento degli oneri fiscali derivanti da accertamenti e contenziosi in ambito nazionale.

L’impatto di queste novità è destinato a essere significativo. Le piattaforme digitali dovranno predisporre sistemi di compliance molto più sofisticati, aggiornare le loro procedure fiscali e probabilmente rivedere il modello di business fondato sulla gratuità apparente dei servizi in cambio della monetizzazione dei dati personali. Allo stesso tempo, la pressione fiscale crescente potrebbe riflettersi indirettamente sugli utenti finali, con un possibile incremento dei costi dei servizi digitali o con nuove forme di limitazione dell’accesso gratuito.

In prospettiva, l’armonizzazione normativa promossa dall’Unione Europea potrebbe ridurre il margine di incertezza e assicurare un quadro fiscale più chiaro e uniforme. Tuttavia, la fase di transizione si preannuncia lunga e complessa. Il pacchetto ViDA prevede che le nuove regole diventino operative dal 2030, ma l’Italia sembra intenzionata ad anticipare i tempi, puntando a recuperare gettito già nel breve periodo attraverso i controlli avviati.

Per il settore digitale si apre così una stagione nuova, caratterizzata da una fiscalità più aggressiva, destinata a incidere sia sui conti delle piattaforme sia sull’equilibrio economico dell’intero ecosistema digitale europeo.

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