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Il vino italiano rischia il ko: l’industria vitivinicola si mobilita contro i dazi USA

- di: Bruno Coletta
 
Il vino italiano rischia il ko: l’industria vitivinicola si mobilita contro i dazi USA
Un settore chiave del Made in Italy a rischio
Il vino italiano, eccellenza assoluta dell’agroalimentare e biglietto da visita del Made in Italy sui mercati internazionali, è finito nel mirino della nuova ondata protezionistica americana. Le misure volute da Donald Trump, tornato alla Casa Bianca per un secondo mandato all’insegna dello slogan “America First”, minacciano di colpire duramente uno dei comparti più floridi dell’economia italiana: quello vitivinicolo.
A oggi, gli Stati Uniti rappresentano il primo mercato extraeuropeo per l’export enologico italiano, con un valore che nel 2024 ha sfiorato i 2 miliardi di euro secondo i dati ISTAT. L’introduzione di nuovi dazi rischia di compromettere decenni di investimenti, relazioni commerciali e posizionamento strategico sui mercati premium americani.
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L’allarme della politica italiana
A lanciare un grido d’allarme è stato, tra gli altri, Stefano Vaccari, capogruppo del Partito Democratico in commissione Agricoltura e segretario di Presidenza della Camera: “Il comparto vitivinicolo italiano [...] è il biglietto da visita del Made in Italy nel mondo. Oggi i dazi dell’America di Trump rischiano di compromettere lo straordinario lavoro fin qui svolto. Serve una ferma reazione dell’Unione Europea, capace di avviare una trattativa serrata, senza escludere contromisure fiscali”, ha dichiarato Vaccari in una nota diffua.
Domani e lunedì saremo con una rappresentanza di parlamentari PD al Vinitaly per ascoltare direttamente la voce dei produttori, cosa che il Governo avrebbe dovuto fare settimane fa”, ha aggiunto, accusando l’esecutivo Meloni di “eccessiva prudenza” nei confronti della nuova amministrazione americana.
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Le reazioni dal mondo produttivo
Non meno preoccupati i produttori. “Con i dazi corriamo il rischio di compromettere la nostra presenza nel mercato americano. Se poi, come dicono, arriviamo al 200%, sarebbe una catastrofe”, ha dichiarato Nicola Chiaromonte, titolare delle Tenute Chiaromonte, la cui etichetta è stata servita nel 2018 anche alla Casa Bianca, in un’intervista su Huffington Post España.
Secondo l’Unione Italiana Vini (UIV), il rischio concreto è che i dazi americani incentivino la penetrazione di competitor di Paesi terzi come Cile, Argentina e Australia, che potrebbero approfittare del vuoto lasciato dall’Europa per accaparrarsi quote di mercato. “Siamo già in difficoltà per l’aumento dei costi di produzione e la crisi climatica. Se aggiungiamo anche barriere doganali di questo tipo, il colpo può essere fatale per molte aziende di piccole e medie dimensioni”, ha spiegato Ernesto Abbona, presidente UIV.
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Bruxelles temporeggia, Parigi si scalda
La Commissione Europea ha per ora deciso di rimandare l’attivazione di dazi di ritorsione contro prodotti statunitensi, inizialmente previsti per il 2 aprile. Secondo quanto riportato da El País, la scelta è stata dettata dalla volontà di non far deragliare i negoziati in corso con Washington, e di dare spazio a una mediazione guidata da Ursula von der Leyen, che tenta di contenere l’escalation commerciale in vista del Consiglio europeo straordinario di fine mese.
Decisamente più netta la reazione francese. Il presidente Emmanuel Macron ha definito le tariffe americane “brutali e infondate” in un intervento del 1 aprile, riportato da The Guardian, ventilando l’ipotesi di congelare investimenti francesi negli Stati Uniti se la Casa Bianca non dovesse fare marcia indietro.
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Un’opportunità per i mercati alternativi?
Intanto, cresce l’interesse per nuovi sbocchi commerciali. La stessa dichiarazione di Vaccari parla della necessità di “esplorare strategie comuni per l’avvio di commercializzazione in altri Paesi”. In particolare, occhi puntati sull’Asia, dove il vino italiano fatica ancora a imporsi rispetto a quello francese, e sull’area del Golfo, che sta sviluppando un’alta gamma di canali per la distribuzione di beni di lusso e agroalimentari.
“La Cina ha ridotto drasticamente le importazioni di vino australiano dopo gli attriti con Canberra, lasciando margini per l’espansione del prodotto europeo”, ha sottolineato il docente di Economia agroalimentare Giacomo Sarti dell’Università di Bologna in un’analisi pubblicata su Wine Monitor – Nomisma.
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Vinitaly come terreno di confronto
Tutti i riflettori saranno ora puntati su Vinitaly, in programma dal 7 al 10 aprile a Verona. L’evento sarà cruciale non solo per misurare lo stato di salute del comparto, ma anche per creare un fronte comune tra produttori, istituzioni e mercati. La presenza di delegazioni estere e buyer da oltre 140 Paesi potrebbe fornire la piattaforma ideale per discutere alternative al mercato americano e costruire nuove alleanze strategiche.
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Il tempo stringe
In un momento storico segnato da tensioni globali e ritorno dei nazionalismi, il rischio è che il vino italiano diventi vittima collaterale di una guerra economica più ampia. Come ha sottolineato Vaccari, “quello che doveva fare il Governo settimane fa [...] non è stato fatto perché Trump non andava disturbato mentre demoliva l’Europa”. Una dichiarazione pesante che, a meno di una rapida inversione di rotta, rischia di trovare riscontro nei numeri dei prossimi mesi.

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