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Difesa, Roma chiede dieci anni. Ecco perché il 2% NATO è ancora un miraggio

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Difesa, Roma chiede dieci anni. Ecco perché il 2% NATO è ancora un miraggio

Nel quadro delle pressioni internazionali legate al conflitto in Ucraina e alla crescente tensione globale, l’Italia prende tempo. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha dichiarato che per raggiungere il 2% del PIL in spesa militare effettiva, come richiesto dalla NATO, serviranno almeno dieci anni.

Difesa, Roma chiede dieci anni. Ecco perché il 2% NATO è ancora un miraggio

Il motivo non è ideologico ma strutturale: l’Italia affronta un debito pubblico proiettato al 138% del PIL entro il 2026, con margini di manovra ridotti e la necessità di bilanciare le esigenze della difesa con quelle sociali.

Il 2% raggiunto? Ma solo sulla carta
Sebbene Roma sostenga di aver già centrato l’obiettivo del 2%, si tratta di un risultato largamente frutto di operazioni contabili. Voci di spesa non strettamente militari – come infrastrutture civili considerate “dual use”, il finanziamento di corpi di sicurezza interni, e persino il progetto del Ponte sullo Stretto – sono state incluse nel computo. Si tratta di un artificio che salva l’immagine internazionale ma non risponde al principio sostanziale richiesto dall’Alleanza Atlantica: aumentare l’investimento nella difesa vera, non riformulare i bilanci.

Crosetto: “Impossibile arrivare al 5%”
Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha messo in chiaro che l’Italia non potrà mai raggiungere livelli di spesa come quelli ipotizzati da alcuni alleati, pari al 5% del PIL. Anche l’obiettivo intermedio del 3,5% sarebbe difficilmente sostenibile. Crosetto ha ricordato che l’aumento della spesa militare va deciso in Parlamento, non imposto dall’esterno, e che ogni scelta avrà un impatto inevitabile sul bilancio sociale del Paese, mettendo a rischio investimenti cruciali in sanità, istruzione e welfare.

L’Europa corre, l’Italia frena
Intanto l’Europa accelera. La Germania ha mobilitato risorse senza precedenti per l’industria militare, la Francia espande la propria capacità produttiva, e i Paesi dell’Est europeo aumentano rapidamente il budget per la difesa. L’Italia, invece, appare frenata dalla necessità di rispettare i parametri di bilancio e dalle tensioni sociali interne. Tajani ha annunciato la volontà di ottenere, al vertice NATO dell’Aia previsto per fine giugno, una deroga o un accordo su tempi più lunghi per raggiungere gli obiettivi comuni. Ma anche in questo caso, il rischio è che la posizione italiana venga percepita come elusiva.

La spesa militare non genera crescita
A complicare il quadro, interviene la valutazione economica. Il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta ha sottolineato che l’aumento della spesa militare non contribuisce alla crescita economica di lungo periodo. I fondi destinati alla difesa, secondo Panetta, non generano lo stesso ritorno di quelli investiti in sanità, innovazione o formazione. L’industria bellica può offrire occupazione e sviluppo settoriale, ma difficilmente rappresenta un volano strutturale per l’intero sistema-Paese.

La linea sottile tra sicurezza e consenso
Il Governo Meloni si trova così su un crinale difficile: da un lato l’alleanza con Washington e gli impegni NATO, dall’altro la realtà interna, con un’opinione pubblica poco incline ad accettare nuovi investimenti in armi e un Parlamento che deve rispondere a elettori colpiti dal caro vita, dalla precarietà e dalla sfiducia. Anche per questo, Crosetto insiste sul fatto che ogni decisione passi dalle Camere, nel tentativo di costruire un consenso trasversale che oggi appare ancora fragile e incerto.

Vertici decisivi e incognita sul futuro
Nel vertice NATO di fine mese, l’Italia cercherà di ottenere un riconoscimento formale dei propri sforzi, ma la partita è ancora aperta. Washington spinge per standard più elevati, la Germania detta il ritmo in Europa e Roma tenta una difficile mediazione. I dieci anni richiesti da Tajani non sono solo una necessità tecnica, ma un messaggio politico: l’Italia intende esserci, ma alle sue condizioni. Resta da capire se gli alleati accetteranno questa tempistica e, soprattutto, se il governo riuscirà a trasformare una strategia di contenimento in un progetto credibile di rafforzamento strutturale della difesa nazionale.

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