Il boom dei costi alimentari schiaccia famiglie e redditi: le cause e le vie d’uscita.
Negli ultimi quattro anni, il prezzo dei beni alimentari in Italia ha registrato una vera e propria impennata: secondo dati recenti del ISTAT, da ottobre 2021 a ottobre 2025 l’aumento è stato pari al +24,9%.
Allo stesso tempo, l’inflazione generale si è attestata su una crescita molto più contenuta, intorno al +17% nello stesso arco temporale.
Le cifre che pesano
Il dato complessivo nasconde scarti ancora più evidenti se si entra nel dettaglio: i prezzi degli alimentari “freschi” sono saliti di oltre il +26% e quelli degli alimentari “lavorati” di poco più del +24%.
Tra le categorie con gli incrementi più elevati spiccano: i prodotti vegetali (+32,7%), latte, formaggi e uova (+28,1%) e pane e cereali (+25,5%).
Le cause dell’impennata
Il percorso del rincaro inizia nella seconda metà del 2021, quando l’economia italiana ha iniziato a lasciare alle spalle la fase più acuta della pandemia e la domanda si è riattivata. A questo primo impulso si è aggiunto, all’inizio del 2022, lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina: l’effetto combinato delle sanzioni, della chiusura dei flussi energetici (in particolare gas) e dell’aumento dei costi delle materie prime ha dato un’accelerata notevole ai prezzi alimentari.
Inoltre, eventi climatici estremi nei grandi paesi esportatori — siccità, inondazioni, proliferazione di agenti patogeni — hanno contribuito a far lievitare i costi agricoli e della logistica, spingendo ulteriormente verso l’alto i listini al consumo.
Chi pesa di più e come reagisce
Il peso di questo aumento grava in modo particolare sulle famiglie a reddito medio-basso, per le quali la quota di spesa destinata agli alimentari è più elevata rispetto alla media. L’ISTAT sottolinea che, essendo questi beni “incompressibili” (non si possono non consumare), l’impatto sul potere d’acquisto è particolarmente forte.
L’associazione dei consumatori Assoutenti rivela che «una famiglia su tre è stata costretta nell’ultimo anno a tagliare la spesa per cibi e bevande», e denuncia che «le famiglie italiane spendono sempre di più per un carrello sempre più vuoto».
La dimensione politica e sociale
Il fenomeno non è passato inosservato sul piano politico: le opposizioni attaccano il governo, accusandolo di aver sottovalutato la situazione. I parlamentari del Movimento 5 Stelle affermano che «la deflagrazione del carrello della spesa è il vero dramma che strozza il Paese, senza che in tre anni il governo sia stato in grado di fornire una soluzione». I senatori del Partito Democratico parlano di «governo mediocre e incapace [che] sta massacrando il portafoglio degli italiani». Queste critiche sottolineano che la situazione alimentare è percepita non solo come un tema economico ma anche come un problema di giustizia sociale.
Verso quale soluzione?
Per alleviare la pressione sul bilancio delle famiglie, servono misure su più fronti: sostegno ai redditi, contenimento dei costi energetici, incentivi all’agricoltura nazionale, e promozione della concorrenza nella filiera alimentare.
Tra le azioni recenti, è previsto un voucher-elettrodomestici da 100 a 200 euro, che verrà attivato dal 18 novembre 2025, ma molti operatori sottolineano che interventi mirati al cibo — piuttosto che ai beni durevoli — sarebbero più efficaci per contenere l’impatto sui consumi primari.
Una vera emergenza silenziosa
Il rincaro del 25% sui generi alimentari in pochi anni è una vera emergenza silenziosa: non appare nei titoli di tutti i giorni come una crisi bancaria o geopolitica, ma colpisce direttamente la quotidianità degli italiani. È il carrello della spesa che si svuota, la spesa che si restringe, le scelte che cambiano. Se non si interviene con urgenza e in modo mirato, il rischio è che questo fenomeno diventi una trappola per lo sviluppo sociale ed economico del Paese.